Volare sul mistero
Spesso durante i nostri viaggi abbiamo vissuto esperienze che meritavano di essere raccontate con maggiore respiro rispetto al diario, con più inventiva, con enfasi, con ironia.
Per questi motivi abbiamo raccolto in questa sezione quelle che per ora hanno visto la luce. Altre sono ancora nel cassetto ma appena possibile si aggiungeranno alle esistenti per arricchire queste pagine che mescolano realtà e fantasia.
Buona lettura.
Volare sul Mistero: Nazca
Approdo a Nazca
Giungere a Nazca dopo un viaggio di molte ore su un bus peruviano che percorre centinaia di chilometri nel nulla è un’esperienza straniante: la piccola cittadina tanto sognata sorge in mezzo ad una zona desertica e piatta senza, al primo sguardo, alcuna attrattiva. Le vie polverose e semideserte del paese hanno un’aria povera e dismessa, confusa e grigia. Nulla a che vedere con i colori del Peru conosciuto sui libri e costruito nel sogno. I segni del terribile terremoto del 1996 sono ancora molto evidenti. Se non si hanno troppe pretese si può trovare alloggio in uno dei tanti motel lungo la strada, stanze spartane e pulite, doccia fredda e vista sugli orti popolati da centinaia di galli stonati e malinconici. Alla reception un vecchio portiere con il viso scavato nella pietra consegna la chiave distratto, sulla parete di fronte un orologio fermo segna per sempre le cinque. Si compila il registro rosicchiato negli anni dai topi e ci si prepara ad una delle esperienze più incredibili che si possano fare nella vita: volare sui misteriosi segni di Nazca.
Ora o mai più
I taxi che percorrono instancabili le vie del paese sono perennemente a caccia di turisti. Dopo neppure mezz’ora di strada si raggiunge l’aereoporto, sito poco fuori città, dal quale si involano i minuscoli aerei da turismo. Sul lato destro della carretera sorge un piccolo museo e l’ufficio dove prenotare e pagare il volo; sulla sinistra, dietro a una lunga rete metallica a perdita d’occhio, la pista di decollo e si spera atterraggio. Nella hall del museo, a disposizione di tutti i visitatori, viene offerta la proiezione di un documentario sulla storia dei misteriosi segni, sulla loro scoperta e sul loro studio (opera soprattutto della tedesca Maria Reiche, vissuta e morta a Nazca, qui una vera istituzione) e sulle varie ipotesi che si sono fatte negli anni sulla loro origine.
Una volta pagato il biglietto per il volo (piuttosto caro, ma giustamente) ci si incammina a piedi verso la pista, lungo la quale sono collocati alcuni “chioschi-hangar” che contengono i minuscoli aerei. Un improvvisato steward di terra in canottiera divide i turisti in gruppi formati da due a quattro persone a seconda della dimensione dell’aereomobile (e del numero di turisti). Di solito qui si incomincia a fare testamento. Si sale a fatica sulla libellula d’acciaio assegnata, ci si allacciano le cinture e si firma il testamento appena vergato. Il pilota assomiglia a Magnum PI, grossi baffoni neri, mostrine luccicanti sulla divisa immacolata, cuffie di dimensione inaudita, stile DJ primi anni ottanta. Dopo aver lanciato uno sguardo alla terra sotto le ruote, si spera non per l’ultima volta, il pilota si volta verso i passeggeri, sorride e si rigira verso il cruscotto: ora, visto da dietro, con le sue cuffie calate sulle orecchie, pare un enorme Mickey Mouse. Speriamo nella stessa precisione. L’aereo comincia a rullare sulla pista, (curioso: pare di stare su un motorino, peccato che questo poi prenda il volo…) spinge i motori al massimo, si lancia lungo la striscia di terra e….. ora o mai più!
La mappa del sogno
Dopo un attimo di terrore nell’esatto istante del distacco da terra la paura scompare per lasciare il posto all’emozione del volo. Solo su piccoli aerei come questi si può percepire la vera magia di volare, sospesi come uccelli nell’aria, guardando la terra da un’altra sorprendente prospettiva, sentendo la corrente dei venti che ti sposta, ti sostiene, per alcuni istanti ti lascia cadere per poi riprenderti subito. Si vola verso il deserto, sopra altipiani brulli e ampie distese di nulla. La terra laggiù è grigia e marrone, bruciata di sole, pietrosa come la luna. Gli occhi cercano instancabili di scorgere il primo segno, la prima traccia del mistero. Come dal nulla nella massa confusa di segni sul terreno ecco che all’improvviso compare una forma. L’aereo si piega su un’ala per poter meglio vedere: laggiù per centinaia di metri si spiegano le immense ali di un condor che pare riflettere il nostro sguardo in volo, più in là una gigantesca lucertola di 180 metri sonnecchia al sole del deserto, a destra, laggiù, il colibrì dal lungo becco dorme accanto al ragno. Il cane e la scimmia dalla lunga coda arrotolata si stagliano tra lunghe linee rette a perdita d’occhio. Sotto la parete di una montagna ecco comparire il misterioso disegno dell’astronauta, figura umana che pare provenire dal futuro. Le figure da terra sono impercettibili, ottenute semplicemente spostando le pietre desertiche ai lati delle linee, scoprendo così la terra più chiara e creando in tal modo i disegni. La perfezione geometrica e delle proporzioni cattura lo sguardo. Come potevano i popoli Paracas e Nazca tra il 900 a.C. e il 600 d.C. realizzare opere così perfette e complesse e come potevano soprattutto goderne? C’è chi dice che conoscessero già allora l’arte del volo in mongolfiera, c’è chi sostiene siano calendari astronomici per l’agricoltura, chi le spiega come camminamenti rituali, chi addirittura sostiene siano piste di atterraggio per civiltà extraterrestri: queste ed altre ancora sono le ipotesi formulate nel corso degli anni attorno alle linee di Nazca. Siano quel che siano, da quassù, con lo sguardo del falco, sono l’incredibile, magica e affascinante mappa di un sogno.
The Grumpy’s
L’eco dell’emozione per questa esperienza fatica a spegnersi e una volta tornati a terra si stenta a riprendere contatto con la realtà. Bisognerebbe però non lasciare Nazca troppo in fretta come fanno quasi tutti una volta esaurita l’esperienza del volo. La piccola cittadina che ruota attorno a quest’unica fonte di sostentamento come sola attrazione può svelare angoli neppure troppo nascosti di vera umanità. Può raccontare la vita che scorre ogni giorno tra la polvere di questo deserto. Tra bus di turisti che arrivano e partono in un lampo. Camminando la sera senza meta lungo le vie buie e silenziose ci si può imbattere in un piccolo e semplice ristoro: quattro tavoli di legno, due ragazzi in cucina, la vecchia madre in sostegno ai fornelli. Si può ordinare del buon cibo, una birra fresca e passare la sera a parlare del mondo, delle speranze nel futuro, della difficile condizione di chi, come loro, cerca di costruirsi dal nulla un lavoro, di ricette tipiche, del costo proibitivo dell’accesso alle zone turistiche come il Machu Pichu per i locali, del terribile terremoto di pochi anni addietro che ha distrutto in pochi minuti quasi tutta la città con il suo carico di speranze e fatiche. Ci si può lasciare con una stretta di mano e un pezzo di verità in più. Non bisognerebbe scappare da Nazca dopo il volo, perché altrimenti la mappa del sogno sarebbe incompleta.
“Volare sul Mistero” è stato pubblicato dalla rivista “Il Mappamondo” edizioni EDT nel numero di Novembre 2004.
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