Galapagos – Ecuador 2013
DIARIO
Nella terra di Darwin – Galapagos e Ecuador
15 agosto
2013: si parte!
Appunto: come al solito partiamo presto da Caselle, sveglia alle 5.30, aereo alle 8.00. Arriviamo a Madrid alle 10.30 e restiamo per più di 6 ore a vagare tra i vari terminal dell’aereoporto. Naturalmente cerchiamo quello che ci consente di uscire, fumare e bere una birra. Tanto per cominciare bene il viaggio. Si riparte con il volo intercontinentale alle 16.30, il viaggio è lungo, quasi 11 ore.
Arriviamo in Ecuador, a Guayaquil, verso le 21 (impossibile evitare uno scalo) e ripartiamo intorno alle 22.30. Atterriamo a Quito verso le 23.30 ma prima di riuscire ad uscire dall’aereoporto è l’una del mattino e ci aspetta ancora circa un’ora di taxi per arrivare in città, all’albergo. Siamo nel letto ben oltre le 2 del mattino, davvero a pezzi. Abbiamo superato le 24 ore di viaggio! Complimenti!
16 agosto
Oggi cominciamo ad acclimatarci al luogo e all’altitudine (2800 metri slm) vagando senza meta per Quito. CI facciamo un minimo di itinerario e poi si parte, rigorosamente a piedi: strade, vie, piazze, chiese, cattedrali, parchi, cani randagi, gelati fucsia (?!), statue e angeli, nuvole bianche e cieli azzurri. Nel tardo pomeriggio ci concediamo una pausa in un bar su piazza San Francisco con una birra e, ovviamente, musica andina live. Dobbiamo ancora capire dove siamo… alla sera ceniamo in albergo, siamo troppo stanchi per uscire di nuovo.
17 agosto
Durante la notte io non sto molto bene – l’altitudine gioca sempre brutti scherzi – per cui la seconda giornata in Ecuador ci vede lenti e pigri a gironzolare ancora un po’ nel pomeriggio e nulla più. Comunque mica male. Domani si riparte.
18 agosto
Oggi dobbiamo partire per Guayaquil alla volta delle Isole Galapagos. Gli zaini non sono neppure stati smontati per questa breve pausa, per cui: taxi per aereoporto – un vero viaggio – partenza con uno scalo e atterriamo a Seymour nella piccola isola di Baltra. Qui ci incontriamo con il piccolo gruppo col quale saremo, volenti o nolenti, uniti per i futuri 8 giorni sulla barca che ci porterà alla scoperta dell’arcipelago mitico delle Galapagos. Veniamo caricati, quasi a forza (mentre cerchiamo di fumare una misera mezza sigaretta) su un bus formato famiglia e ci dirigiamo ad un piccolo porto dal quale, a gruppetti, veniamo imbarcati sulla Yolita – la nostra barca – con i gommoni. Tipo profughi. Parte la navigazione vera e propria e nel pomeriggio ci aspetta un primo magnifico trekking su una delle tante piccole isole dell’arcipelago. Facciamo il primo incontro con le sule dai piedi azzurri, le iguane, le fregate dal petto rosso. Alla sera: cena, incontro e preparazione con la nostra guida, Gustavo, del giorno a venire. Ci racconta l’itinerario che percorreremo domani, ci spiega come man mano sbarcheremo sulle isole (con i gommoni dalla barca, poi sbarco umido se dobbiamo scendere in acqua per raggiungere l’isola o sbarco secco se scenderemo direttamente sulle rocce, ci istruisce sulle regole del parco – rigidissime per fortuna – e su cosa andremo a vedere. Ci trasferiamo in cabina per la nostra prima notte in mare. Si balla abbastanza, l’Oceano non è mai un posto tranquillo! Siamo nella terra di Darwin, nel vero ombelico del mondo, perdio!
19 agosto
Secondo giorno di navigazione sulla Yolita. Sbarco Umido alla spiaggia dei lobos, i leoni marini. Luogo incantevole di assoluta meraviglia Facciamo una lunga passeggiata tra animali e natura, poi con i gommoni andiamo a visitare la Catedral, una specie di enorme grotta rocciosa impressionante per bellezza e dimensioni. Sempre con i gommoni ci dirigiamo al largo dove due grosse rocce formano una specie di arco sperso in mezzo al mare per il nostro primo snorkelling. Prima difficile lotta per imparare ad indossare le mute, seconda pelle polimerica dall’attrito cutaneo devastante. S’ha da fare: qui il mare è gelido. Ci tuffiamo per incontrare pesci, cuccioli di leone marino, squali. Questo primo snorkelling si rivela piuttosto difficile perché il mare è agitato e ci sono forti correnti. Io mi faccio prendere dal panico e risalgo sul gommone in crisi respiratoria. Che mezza sega! Sig è naturalmente già partito, indomito, tra i flutti. Ma come cacchio fa? Non mi arrendo e superato il tratto di mare più difficile mi rituffo, anche se ho un po’ le gambe di ricotta. Nel pomeriggio, per fortuna, faremo un secondo snorkelling più tranquillo e, presa la confidenza con maschera, boccaglio e acqua gelida, riesco ad ammirare tutta la bellezza che ci circonda. Che primo indimenticabile giorno superlativo. Da non credere. Ma ci crediamo.
20 – 24 agosto
Proseguiamo, giorno dopo giorno, l’incredibile esplorazione dell’arcipelago delle Galapagos tra trekking, snorkelling, animali, natura, silenzi, onde, venti. Ogni isola ha la sua caratteristica e, sebbene all’apparenza molto simili, ogni luogo ci regala nuove sorprese: spiagge letteralmente ricoperte di leoni marini (mamme, cuccioli urlanti, maschi alfa incazzusi), albatros, fregate, iguane di terra e di mare, uccelli di ogni tipo, tartarughe giganti, razze, squali, granchi dai colori psichedelici.
L’emozione alle Galapagos è pane quotidiano: nuotare con i leoni marini che ti volteggiano intorno e ti scrutano curiosi direttamente a dieci centimetri dalla maschera, vedersi sfrecciare un piccolo pinguino sotto la pancia, poter osservare a un metro di distanza le sule e gli albatros che nutrono i piccoli nel nido, doversi fermare per lasciar passare una fila di iguane. Questo luogo ci riporta davvero all’alba del mondo, alla potenza della natura primigenia che costruisce un pianeta con la sua forza e le sue regole eterne. Non so perché ma ci sentiamo estranei. Ospiti. Temporanei. Caduchi. Trascurabili. Un luogo che dona la percezione e la misura del sè.
Da Wiki…..
- Soltanto cinque delle isole che compongono l’arcipelago sono abitate. Di seguito un elenco:
- Santa Cruz — Il giro dell’arcipelago inizia e finisce qui, almeno per la stragrande maggioranza dei turisti che non hanno voluto ricorrere ai servigi di un tour operator nostrano. Il centro principale di Santa Cruz è Puerto Ayora, un vivace e pittoresco borgo di circa 10.000 abitanti. Puerto Ayora concentra la maggior parte degli alberghi e delle agenzie che propongono tour dell’isola di Santa Cruz come a Cerro Dragon, una località del nord dove sta una colonia di iguane o anche a Darwin, una postazione scientifica nelle vicinanze della quale stanno copiose colonie di tartarughe marine.
- Baltra — Unica isola del gruppo a non far parte del Parco nazionale delle Galápagos, Baltra è ben piccola, appena 27 km². Situata a nord di Santa Cruz, è priva di interesse turistico ma accoglie il maggior aeroporto delle Galápagos, costruito dagli Americani negli anni della II guerra mondiale. Una volta sbarcati dall’aereo, i turisti vengono prelevati da un autobus che li conduce al molo dove è all’ancora il battello per Puerto Ayora nella vicina isola di Santa Cruz
- Plaza Sur — Poco più che uno scoglio di origine lavica al largo del capo orientale dell’isola di Santa Cruz, South Plaza è meta di escursioni di un giorno da Puerto Ayora. Nonostante le sue ridottissime dimensioni è popolata da una grande varietà di uccelli. Vi si possono osservare anche iguane terrestri. Notevole anche la flora. Le fa compagnia un isolotto ancora più piccolo, “Plaza Norte”.
- San Cristobal — La più orientale del gruppo e la più vicina alle coste dell’Ecuador ha un unico centro abitato che risponde al nome di Puerto Baquerizo Moreno. Conta circa 6,000 abitanti, quasi tutti dediti alla pesca e al turismo. Il molo dove fanno scalo i battelli da Puerto Ayora è stato ampliato nel 2006. Da quell’anno sono sorti come funghi intorno al “Malecón” bar, ristoranti e alberghi. El Lobería, La Galapaguera, Cerro Colorado, sono nomi di tratti di litorali popolati da colonie di foche e leoni marini.
- Floreana — Nonostante le sue minuscole dimensioni, Floreana fu la prima delle Galápagos ad essere abitata. Oggi conta un centinaio di residenti stabili. Raramente i turisti vi pongono piede.
- Isabela — La più grande delle Galápagos per superficie è un’isola di vulcani, cinque dei quali ancora attivi. Vi vivono tartarughe terrestri giganti nascoste in anfratti, il più possibile al riparo dagli sguardi indiscreti dei turisti e delle loro macchinette fotografiche. In compenso le colonie di uccelli marini sono facili da osservare. I fenicotteri sono i più comuni; sono attestati in località “Pozo de los Flamingos”, vicino al centro abitato di Puerto Villamil. Per vedere i pinguini bisogna invece noleggiare una barca per le grotte di Tagus.
- Tra le isole disabitate:
- Darwin & Wolf
- Española — La più meridionale del gruppo delle Galápagos è frequentata da stormi di albatri.
- Fernandina — Appena al largo delle coste occidentali di Isabela, Fernandina non è che il cono di un vulcano ancora attivo che emerge dagli abissi dell’Oceano Pacifico. È famosa nel mondo per le sue colonie di iguane marine e anche per albergare una specie di cormorano dalle ali atrofizzate che non gli permette il volo.
- Genovesa — La visita alla piccola Genovesa è ambita da chi si reca in visita alle Galápagos. L’isola, ospita svariate specie ornitologiche, pellicani, gabbiani, rondini.
- Marchena —
- Pinta — Ai turisti non è permesso l’accesso a questa piccola isola.
- Pinzon —
- Rabida —
- Santa Fe —
- San Salvador Santiago — Un tempo covo di pirati, Santiago è oggi l’isola delle tartarughe marine giganti, delle otarie o leoni marini e di stormi di aironi delle specie più diverse.
…fine Wiki.
Il 24 agosto Sigfrido festeggia il suo compleanno sulla barca – la Yolita – alle Galapagos, offrendo birre a destra e a manca, navigando da un’isola all’altra in mezzo all’Oceano. Superiamo noi stessi con i suoi compleanni in giro per il mondo! Ma ogni anno è una sfida per cui….
A la prochaine!
25 agosto
La navigazione alle Galapagos si conclude oggi. Nonostante non siamo di indole lupi di mare questi giorni di navigazione ci lasciano una specie di assuefazione ai flutti. La nostalgia che ci prende non è solo per il luogo meraviglioso che stiamo per lasciare ma anche per le onde notturne. l’orizzonte d’acqua, il vento umido. Comunque è finita. Dobbiamo approdare. E approdiamo. Un bus ci trasferisce all’aereoporto di Baltra e qui ci separiamo dai nostri compagni temporanei di viaggio che tornano in Italia. Noi ci regaliamo un prolungamento di permanenza e accediamo ad un minuscolo gate per imbarcarci verso altri due giorni sulle Isole Galapagos, fuori dai circuiti tradizionali. Destinazione Isabela.
L’imbarco è per me qualcosa di surreale, per SIgfrido di bellezza straordinaria: saliamo su una libellula di latta a 4 posti, noi due e il pilota. Ci mettiamo in coda rullando sulla pista con due o tre boeing e poi tocca a noi. Se non fossi sopra a questa scatola di tonno potrei anche ridere. Il rumore è quello di un motorino, no, meglio, di un minipimer. Però poi si stacca da terra e vola. Il minipimer. Io passo i 35 minuti di volo in preda ad una crisi isterica, Sigfrido cerca di godersi il panorama, alternando nei miei confronti momenti di sostegno psicologico a tentativi di soffocamento. Non rischiare la galera amore mio, tanto sto per morire di infarto fulminante…
Comunque atterriamo e anche le Galapagos ci svelano il loro lato B, lontano dalle rotte più battute. Non abbiamo molti contanti con noi e l’aereoporto è quello dei Playmobil. Nessun bancomat. Ci facciamo prestare i soldi dal nostro tassista per pagare la tassa di ingresso e la sua corsa (ahahaha) e arriviamo al paese (gasp, che vergogna). Alloggiamo in una Guesthose molto basic, per campare e pagare i debiti cambiamo malissimo in un negozio di sub i pochi euro rimasti. Pazienza. Da soli camminiamo per ore lungo la costa e nella foresta. Visitiamo un bellissimo centro di recupero di tartarughe giganti, percorriamo il litorale deserto e battuto dalle onde oceaniche, prendiamo una birra fresca in un piccolo locale sulla spiaggia, ceniamo in un ristorante qualunque lungo la strada di sabbia. Niente asfalto a Isabela. Domani ci aspetta un’ altra avventura.
26 agosto
La sveglia oggi è proprio all’alba. Le cinque o giù di lì. Ci aspetta una giornata intensa. Ci uniamo ad un gruppo composito di altri avventurieri e con un bus scassato e aperto che gira per il paese ci portarno alle pendici dei vulcani di Isabela da cui partiremo per una lunga camminata fino alla cima. Alla partenza il cielo è grigio e cade una sottile pioggia ma incredibilmente, passo dopo passo, salendo verso la cima il sole riconquista il suo spazio nel cielo. Il trekking è decisamente lungo ma tecnicamente poco difficile e raggiungiamo la cima del Sierra Negra e del Sierro Chico, i due vulcani ancora attivi. Camminiamo tra una vegetazione sempre cangiante, folta e rigogliosa di verdi rossi e gialli mescolari, arriviamo in cima a colmi dai quali si può ammirare tutto il cratere, veramente immenso, lasciamo alle nostre spalle il verde per marciare tra rocce nere e rosse e paesaggi lunari. Testa dura, testa dura: la metà del gruppo abbandona la meta ma noi arriviamo fino in cima. Vista impagabile. Pausa breve e poi il lungo cammino di ritorno. Per evitare di sentire la fatica e le bolle ai piedi mi metto zen a contare i passi: uno, due, tre, cinquanta, cento, mille…. due ore senza fermarsi mai…..mi metto in sfida interiore con il gruppo e li supero ad uno ad uno…..arrivo seconda. Medaglia d’argento! Riprendiamo lo scassobus fino ad una riserva di tartarughe dove pranziamo (no, non mangiamo tartarughe!), e poi torniamo in paese. Al pomeriggio ci aspetta un giro in barca con snorkelling e trekking tra le iguane. Lo snorkelling lo salto, fa troppo freddo. Sigfrido naturalmente no! L’intensa giornata si conclude con una bella cena in uno dei tanti piccoli ristoranti a gestione familiare, un po’ scassati ma veri. In quello di questa sera abbiamo pure vista piazza con lezione collettiva di ginnastica. ?!? Strano, ma vero. Surreale…..
27 agosto
Oggi lasciamo definitivamente le Galapagos. Causa mio terrore per il volo all’andata abbiamo pensato di riconquistare le coste dell’Ecuador via mare. Sbagliato. Il servizio pubblico consta di motoscafi trimotore che sfrecciano alla velocità di un razzo. Tra onde alte tre metri. La “tranquilla” traversata dura la bellezza di 2ore e 40 minuti. Contando il fatto che ci siamo svegliati alle 4.45 del mattino e che non abbiamo fatto neppure uno straccio di colazione non vomitiamo. Per miracolo. La signorina vicino a me sì. Approdiamo a Puerto Ayora un po’ scombussolati e con un taxi ci fiondiamo all’aereoporto. Da lì voliamo per Guayaquil e ci accasiamo in un Hostal abbastanza vicino al lungomare: la zona è discretamente
basic, l’hostal è self catering ma con una bella terrazza per farsi il caffè. Dopo una doccia veloce partiamo a piedi per girovagare nella città.Percorriamo il lunghissimo e bellissimo Malecon – lungomare – e saliamo fino alla città alta, la Pena (con quell’onda sulla n che non trovo sulla tastiera). La città alta, o la città vecchia, assomiglia un po’ al Barrio di Lisbona, infatti per arrivare alla cima, tra vecchie case e palazzi d’aspetto coloniale, locali e terrazze, ci sfiancano i glutei ben 444 gradini! La vista dall’alto è magnifica, sembra di essere in volo (ahhh, ancora?). Sotto di noi il Malecon, le luci della baia, la città moderna. Da un lato le colline con le case arroccate, poi la linea dell’aereoporto con gli aerei in atterraggio e decollo. Dopo lunga meditazione visiva scendiamo di qualche gradino e ci infiliamo in una locanda veramente basic che però ci prepara una cena deliziosa. Una birra, anzi due, poi giù per le scale, di nuovo tutto l’interminabile Malecon e in Hostal. Siamo distrutti. Buonanotte.
28 agosto
Oggi abbiamo una giornata di pausa nella corsa irrefrenabile del viaggio. Ci svegliamo con calma, facciamo trascorrere la mattina tra caffè autoprodotti sulla terrazza, usiamo la buona connessione internet per comunicare e aggiornarci con la madrepatria e il parentame vario e nel pomeriggio ci lasciamo nuovamente trasportare in camminate senza meta per Guayaquil. Torniamo, tra le altre cose, inevitabilmente sul Malecon e in cima alla Pena. La cena la consumiamo sul lungomare e lasciamo che il sole tramonti. Domani si parte per il sud dell’Ecuador. Loya ci aspetta. Credo.
29 agosto
All’alba, cazzo come sempre, ricompattiamo gli zaini e con un taxi raggiungiamo l’aereoporto, destinazione Loja. Sigfrido mi ha convinto al volo – genio! – per evitare 12 ore di bus e non sprecare giorni di viaggio. Ho acconsentito. Male, molto male. Nessuno dei due ha valutato che questo breve – medio volo interno ha un simpatico passaggio sulle Ande. Certo, perché le Ande son lunghe e mica sono solo in Cile o in Argentina. Anche in Ecuador. Bene. Decollo, quota, caffè offerto dalle gentili hostess. Ad un certo punto… messaggio: allacciare le cinture. Ok, normale…… normale un cazzo. Il caffè mi vola dalla mano al primo inaudito vuoto d’aria. Le turbolenze sono le peggiori che mai ho sentito in vita mia. E dei vuoti d’aria non voglio neanche più parlare….. cioè, sì, almeno ancora una volta: cadute verticali mozzafiato, lo stomaco in gola. Per capire, anche Sigfrido che fa parapendio e se la spaccia spesso si irrigisce un po’. Io arrivo all’atterraggio in lacrime e un signore, una volta toccata terra, viene ad abbracciarmi…..per dire… Al ritiro bagagli ho ancora una tale adrenalina addosso che vorrei mettermi a gridare ma non lo faccio, che signora. Ad onor del vero devo fare una chiosa positiva: nella fase di discesa lo spettacolo attorno a noi era superlativo. Il nostro aereo ha imboccato la via per la terra tra vette andine innevate e valli verdi e scintillanti sotto un cielo azzurro cobalto. Non posso incazzarmi con Sig, era troppo bello. Dopo.
Prendiamo un taxi per raggiungere Loja, piuttosto distante dall’aereoporto, e alloggiamo in un Hotel surreale: la guida ancora lo catalogava come un ostello gestito dagli universitàri ed invece ci troviamo in una specie di castello ora rilevato da un ecuadoriano appena rientrato da 15 anni di vita in Giappone. Saul, (con tanto di regolare moglie giapponese) ha deciso di rimpatriare dopo Fukushima e avviare questa nuova attività.
Il posto è bellissimo, per ora siamo gli unici clienti, domani chissà. CI tuffiamo in una lunga camminata per la belle e affollate vie e piazze di Loja e al pomeriggio facciamo una gita col solito bus fuori città, a Vilcabamba. Il paesino è immerso tra le montagne e ci facciamo un piccolo, improvvisato trekking. Ci perdiamo, ci ritroviamo e rientriamo in paese. Ad onor del vero un po’ troppo colonizzato da fricchettoni americani new age. Panino, birra e riprendiamo il bus per Loja. Al tramonto rientriamo in albergo per una doccia corroborante e una cena incredibilmente a base di sushi. Vegetariano il mio, ca va sans dire…..
30 agosto
Questa nuova giornata ecuadorena la dedichiamo ai dintorni di Loja. Ci dirigiamo intrepidi alla stazione dei bus e partiamo per le montagne circostanti. Arriviamo a Saraguro che è ancora mattina presto e facciamo una piccola colazione con caffè bollente nel primo bar aperto sulla piccola piazza, gestito da una cooperativa di donne. Delizioso! Con mappa alla mano partiamo a piedi per un trekking improvvisato sul momento e dalle 9.00 del mattino alle 17.00 ci immergiamo in una dimensione altra: saliamo piano piano sulle colline circostanti, scendiamo per una lunga valle, poi risaliamo, poi nuovamente scendiamo. Sul nostro cammino case, fattorie, animali al pascolo, bimbi dell’asilo in giro per le strade polverose con le maestre, carri, furgoncini. Alla base della caduta delle cacate al fondovalle alcune donne pregano sulle rocce e accendono candele: qui per loro è un luogo sacro. Proviamo a scattare qualche fotografia ma ci urlano dietro. Giusto. C’è sempre da imparare sul rispetto. Arriviamo in cima alle bellissime cascate e sul tragitto in discesa incontriamo una magnifica nonna ecuadorena senza un solo dente in bocca, accompagnata dal nipote. Ci fanno un sacco di domande, stupiti dal nostro essere lì. In effetti siamo in culo al mondo, in un luogo sì magnifico ma per nulla turistico. Lei ci stringe la mano, noi a lei. Che strano, che bello. Il ritorno a piedi sono altri chilometri di fatica e polvere nel silenzio della natura, in completa solitudine
Tornati in paese ci mettiamo sul ciglio della strada per riprendere un bus direzione Loja e scopriamo che sono tutti full, pieni, inaccessibili. Contrattiamo con degli autisti di PickUp abusivi che fanno, “privatamente”, servizio alternativo verso la città e viaggiano sfrecciando oltre i limiti di velocità sulla strada tortuosa, con i passeggeri caricati “a mucca” nel cassone retrostante. E infatti ci piazziamo nel cassone, come mucche…. Arriviamo sani e salvi, ma un po’ spettinati. Una cena veloce: siamo a pezzi, e domani di nuovo in partenza!
31 agosto
Al mattino rapida colazione, zaini in spalla e raggiungiamo la stazione dei bus. Ci aspettano un discreto numero di ore di viaggio per raggiungere Cuenca. Prendiamo alloggio in un bell’ Hostal con giardino interno. Avendo finito le stanze, ci assegnano a buon prezzo l’ appartamento con cucina. Che però è fuori dalla stanza, bagno compreso. Mah…Architetti di merda. Partiamo per la tradizionale camminata senza meta precisa per le vie della città. Cuenca è molto bella, piena di piazze, palazzi e chiese coloniali. Un po’ troppo turistica per i nostri gusti e comunque un poco deludente per chi come noi ha nel suo zaino città coloniali fin sotto le ascelle di ben altro impatto architettonico (dal Messico al Perù, dalla Bolivia al Cile). Ceniamo in un piccolo ristorante a conduzione familiare appena aperto (probabilmente siamo i primi clienti in assoluto…). Buono. La fine di un’altra giornata intensa. Molto intensa.
1 settembre
Oggi è domenica e abbiamo deciso di visitare i dintorni di Cuenca per cui prendiamo un bus, anzi due, anzi tre…, per fare a tappe una strada che porta sù sù verso le montagne e per fermarci nei vari paesini che la guida descrive carini, interessanti, con mercati colorati: Gualaceo – Charteleg – Sig Sig. Soprattutto l’ultimo, SIg Sig, ci interessa. Beh…. si può immaginare il perché visto il nome, no?
Ok, la Lonely Planet è definitivamente da buttare, è diventata la peggiore guida del pianeta: i paesini non sono nulla di che, al limite del brutto, non hanno nessuna attrattiva, non ci sono mercati, se non alcune trappole per turisti e una serie di supermercati, non ci sono bei paesaggi, non ci sono scorci né atmosfere interessanti. Ah, beh, bel giro.
Percorriamo comunque stoicamente tutte le tappe programmate scendendo e salendo dai vari bus e arriviamo fino a Sig Sig.
Come i pinguini di Madagascar all’approdo in Antartide, appena sbarcati giriamo i tacchi e torniamo indietro. Che poi alla fine non è mica tutto vero, solo in parte. I posti non erano granché, certo, ma sono stati lo stesso una esperienza, piccola, strana, comunque da ricordare.
Rientrati a Cuenca scopriamo con mestizia e afflizione che la domenica cattolica ha preso il sopravvento sulla vita civile. Tutto chiuso. Tutto. Per cenare dobbiamo entrare in una specie di supermercato e comprare il necessario per prepararci degli orridi panini che ci mangiamo direttamente in stanza. Senza afflizione e mestizia, ma con due birre. Buonanotte Gesù.
2 settembre
Sempre tenendo come base Cuenca questa mattina decidiamo di dirigerci con un bus verso le montagne. Meta: Parco del Cajas, oltre 4000 metri di altitudine. Scegliamo un mezzo locale per fare l’escursione in autonomia e non intrupparci con tour organizzati.
Uscito dalla città il bus si inerpica verso le cime, in alto, sempre più in alto e i panorami si fanno via via più selvaggi. Non essendoci una vera e propria fermata principale del Parco, che è estesissimo e con svariati punti di accesso, non sappiamo bene dove scendere e nell’incertezza facciamo una cazzata, temporeggiamo un po’ troppo. Solo grazie ad una signora che, vedendoci spersi, ci aiuta e ci evita di proseguire per il chissadove, il bus si ferma in un posto a caso e ci scarica direttamente sul ciglio della strada. Stop. Down. Go. Un attimo. Quando il mezzo riparte ci rendiamo conto di essere nel bel mezzo del nulla, a 4000 metri di altezza e senza anima viva a pagarla oro. Attorno a noi montagne, erba filamentosa e secca battuta dal vento, silenzio, nulla. Un lama mastica ritmico guardandoci perplesso. Figurati noi, và…. Ci incamminiamo a caso lungo i tornanti della carreggiata e, imboccando vari sentieri appena tracciati, finiamo in uno pseudo ingresso del parco oramai abbandonato. Pipì open air, sigaretta. Tanto per farci coraggio e riordinare le idee. Si riparte: tra un lama selvatico e l’altro, dopo un bel po’ di strada, arriviamo miracolosamente ad uno degli ingressi del parco. Salvi. Rinfrancati, decidiamo di intraprendere un giro breve perché il Cajas in realtà è estremamente selvaggio, aspro e con percorsi di più giorni di discreta difficoltà, che senza preparazione e attrezzatura non sono fattibili. Non restiamo comunque delusi: il luogo è di una bellezza da togliere il fiato, selvaggio, silenzioso, con laghi, rocce, paludi, uccelli selvatici e scorci di indicibile bellezza. Vi rimandiamo alla nostra galleria fotografica per farvene una idea. Le parole sono insufficienti. Uno dei posti più belli mai visti fino ad ora nel nostro peregrinare per il mondo. Verso il tardo pomeriggio, gambe a pezzi e soddisfatti, ci piazziamo fiduciosi sul solito ciglio di strada e fermiamo il primo bus diretto a Cuenca. Si ritorna alla base. Siamo stanchi, tanto stanchi, anche questa sera ci facciamo bastare i panini in stanza. Un’altra giornata indimenticabile.
3 settembre
Oggi partiamo per una tappa intermedia verso nord, destinazione finale Banos: pitstop a Riobamba. Il viaggio non è breve – circa sei ore di pullman. All’arrivo troviamo alloggio in una zona semi periferica piuttosto dimessa ma l’hostal che scegliamo si rivela molto accogliente. Dietro al portone anonimo affacciato sulla strada scopriamo un incredibile giardinetto pieno di fiori, girandole, lucine di natale, gattini (veri!), farfalle di carta, cani (veri!), fontanelle zampillanti. Un fumetto in 3D. Le stanze sono semplici ma accoglienti. Dopo una doccia veloce partiamo per il solito giro a zonzo per la cittadina. Riobamba non è per nulla turistica ma ci consente di vivere l’esperienza di un luogo reale, animato dal quotidiano senza filtri. Nel nostro girovagare visitiamo comunque anche alcune “attrazioni”: la stazione-museo della linea ferroviaria ora soppressa (carino!), una rocca panoramica con vista sulla città e i vulcani circostanti e finiamo la giornata in un bel ristorantino dove mangiamo scaldati dalla fiamma del camino. Domani riprenderemo di nuovo la via del viaggio. Per ora…Bon appetit!
4 settembre
Al mattino per fare colazione i gestori dell’ Hostal ci dicono di uscire, attraversare la strada e suonare alla casa di fronte chiedendo di Adriana….mah…. in effetti Adriana è la figlia dei gestori succitati che ha improvvisato una stanza colazioni – assolutamente abusiva! – nel salotto di casa sua. Fantastico. Post breakfast chiudiamo gli zaini e partiamo, sempre col bus, alla volta della prossima meta: Banos.
Due ore di viaggio e ci siamo. Banos è una modesta cittadina chiusa in una piccola valle tra le montagne, nota per le sue fonti termali e per questo motivo negli anni è diventata molto, molto turistica. Troviamo una stanza in uno dei tanti Hostal di stile “fricchettone”. Semi smontati i bagagli per fare un po’ di bucato passiamo il resto della giornata a zonzo per il paese e per i dintorni. Questa sera siamo un po’ stanchi, alle 20.00 siamo già nel letto. Incredibile!
5 settembre
Oggi ci svegliamo con un tempo brutto e piovoso. Pazienza. Dopo colazione decidiamo comunque di fare il giro per la Routa de Las Cascades. La valle di Banos è conosciuta come zona termale proprio per le acque, sulfuree e non, che dai vulcani circostanti si scaricano a valle creando pozze termali, fiumi e cascate. Invece di intrupparci con un minibus collettivo ci mettiamo d’accordo con un tassista della cooperativa locale e per una cifra assolutamente abbordabile ci facciamo portare in tour. Facciamo varie tappe: Rio Verde – Rio Negro – ci fermiamo più e più volte ad ammirare il panorama, percorriamo tratti a piedi scendendo verso le gorge e attraversando ponti sospesi sull’acqua turbinante tra una vegetazione fittissima e, verso la fine, finalmente accompagnati da un pallido sole. Alcune cascate sono davvero notevoli e su una – chiamata il Manto della Novia – Sig decide addirittura di transitare con la mitica Tarabita: cestelli appesi su carrucole sospese nel nulla, azionate da motori improbabili (vedi foto della galleria – un vecchio telaio e motore di camion smontato e riadattato!).
Soddisfatti dal giro torniamo in paese e occupiamo il pomeriggio raggiungendo a piedi una stazione termale fuori dal paese.
Piscine di acqua sulfureea bollente alternate a piscine e docce di acqua gelata. Ahhhhh che goduria! Una cena per finire e poi chiudiamo la serata sul terrazzo-tetto dell’ hostal con una birra fresca sorseggiata sotto le stelle. Chiacchierando con un gruppo di ragazzi ventenni – Svizzeri? Australiani? Boh, decisamente ubriachi. Come noi? Mah. Domani si riparte.
6 settembre
Partiamo al mattino con l’ennesimo bus, destinazione Lataconga. Il viaggio non è breve e nel pomeriggio approdiamo in città, non piccola e non particolarmente bella. Trovata sistemazione in un bell’Hostal centrale, con largo patio circolare porticato, zona colazione, relax e cucina. Vista la possibilità decidiamo, nel nostro solito tour a piedi senza meta, di comprare e cucinare noi la cena, come fanno più o meno tutti gli altri ospiti. Stracciamo tutti i vari colleghi backpacker 20-30enni americani, inglesi e tedeschi spiattellando in men che non si dica una pasta coi broccoli, una frittata di cipolle e una insalata di pomodori e maionese! Gli altri scodellano paste collose troppo cotte colorate di sughi precotti. Ahahahah. The Italian Style of food……
7 settembre
Oggi, tramite l’Hostal, abbiamo prenotato un tour alla Laguna Quilitoa, da fare assolutamente con guide autorizzate. Partiamo in cinque: noi due, una coppia francese e una ragazza olandese. Ci zippiamo dentro la jeep, accompagnati da un driver e dalla guida per il trekking (come cazzo parlo/scrivo?!?). Lungo la strada facciamo alcune tappe nei punti più panoramici, ci fermiamo per una visita ad un mercato locale molto colorato e vivo e poi raggiungiamo la Laguna. Beh, anche di lagune, come di cascate, nei nostri viaggi ne abbiamo viste tante ma una di un colore così… mai nella vita. Incredibile: un turchese accecante, scintillante, pare finta.
Siamo in quota (4000 metri), fa molto freddo nonostante il sole e tira un forte vento. Partiamo per il trekking, che prevede un lungo percorso attorno a tutto il cratere. Dopo neppure un terzo del
percorso restiamo solo Sigfrido ed io a proseguire: gli altri optano per il giro breve. Con la nostra ottima guida ci incamminiamo per lo stretto sentiero che, di cresta in cresta, costeggia tutto il bordo semicircolare di questa meraviglia della natura. In effetti il cammino è molto lungo e a tratti davvero faticoso ma impagabile per bellezza. Arriviamo vittoriosi al termine (abbiamo percorso oltre 10 chilometri!). Siamo davvero sfatti. Davvero. Ci aspetta ancora un lungo viaggio di ritorno (circa due ore di jeep) e finalmente arriviamo alla base. Io sono talmente a pezzi che dopo una doccia mi metto direttamente nel letto senza cena, solo con una tisana calda. Sigfrido credo che mangi cose varie ed eventuali e socializzi sul patio con altri ospiti vari ed eventuali per il resto della serata. Ma come fa? Misteri dell’uomo, mescolato a birra e adrenalina…
8 settembre
Oggi il nostro viaggio prevede la partenza da Lataconga e l’arrivo alla riserva del Volcan Cotopaxi. Viaggiando autonomamente raggiungiamo le pendici del vulcano con il solito bus di linea che ci scarica, zaini e tutto, direttamente in un punto imprecisato X lungo un tratto Y della Panamericana. Da qui a piedi raggiungiamo l’incrocio con la strada Z che si inerpica lungo la montagna W per raggiungere l’ingresso del Parco. Cotopaxi, di questo siamo certi. Scopriamo con dispiacere di essere come nudi, alla mercè di uno sparuto gruppetto di pochi e assatanati taxisti che sono gli unici autorizzati, non certo dal governo, forse dal dio della lava, a portarci alla meta. Tramite internet abbiamo già prenotato due notti in un Ecolodge all’interno del parco, proprio sotto al vulcano. Non riusciamo a scendere sotto i 30 dollari per il trasporto in loco…. vabbè. La strada è lunga, e dopo una prima parte asfaltata arriviamo all’ingresso del parco, ci registriamo e proseguiamo per strade sterrate in quota in un paesaggio lunare. Il Lodge dove arriviamo è magnifico, piantato nel nulla di una sorta di steppa silenziosa, tra rocce, fiumiciattoli e montagne battute dai venti. Su tutto incombe l’incredibile vulcano, con la cima incappucciata di neve. L’Hostal è a 3800 metri, la cima del vulcano arriva a sfiorare i 6000. Una volta ambientati e decisi ad organizzare l’ascesa alla cima del vulcano per il giorno seguente ci rendiamo conto che l’Hostal non è assolutamente attrezzato. Siamo, incredibilmente, gli unici ospiti e capiamo che loro fanno solo da base per gruppi con tour organizzati altrove. Dopo un po’ di disagio e di disappunto decidiamo di non rovinarci il soggiorno in questo luogo magnifico, comunque.
Ci penseremo domani all’ascesa, ora partiamo in totale solitudine per questi sentieri lunari, splendidi, selvaggi. Il lungo cammino senza meta ci regala una esperienza veramente unica. Appena partiti, dopo poche centinaia di metri, ci vediamo inseguiti dal cane dell’Hostal, una specie di incrocio rottwailer allo stato semiselvaggio, di incredibile intelligenza e spirito, oltre che dentatura. Ci precede e comincia lui a farci da guida, mostrandoci percorsi e sentieri. Sempre accompagnati da lui, che abbiamo ribattezzato Yolp, camminiamo verso una valle tagliata da un piccolo torrente argentato, incontriamo un branco di cavalli selvaggi con tanto di puledri che ci studiano sospettosi, viviamo l’esperienza dell’attacco di un falco allarmato dal nostro passaggio (chi rischia è soprattutto il povero Yolp), ci inerpichiamo fino in cima ad una collina battuta dal vento: una vista fatta di splendore, asprezza di linee, orizzonti infiniti, silenzio, vento, riflessi, nuvole. Poi Yolp ci lascia per circa mezz’ora e…. torna festante e soddisfatto tutto imbrattato di sangue. E’ andato a caccia. Gasp….. Scendiamo sempre insieme alla nostra guida speciale e il Volcan Cotopaxi decide di regalarsi ai nostri occhi in tutta la sua imponenza e magnificenza. Si sveste per pochi minuti delle nuvole che lo incappucciano e ci mostra la cima. Indimenticabile. Come Yolp.
Ceniamo, sempre soli avventori, e decidiamo che ci basta così. Inutile andare contro al viaggio. Quello che abbiamo vissuto oggi è stato unico, anche se non saliamo sul vulcano non importa. Qui tanto abbiamo capito che non ci aiuterebbero e inoltre dovremmo restare per molti altri giorni e cercare di capire come organizzarci, e aspettare una giornata di tempo idoneo, e….. Domani ripartiamo. Ci ritiriamo in stanza dopo aver passato un po’ di tempo sotto le stelle a coccolare il nostro amico Yolp che non ci vuole più mollare. C’è una stufa a legna. La accendiamo. Spegniamo la luce. La fiamma brilla nervosa. Fuori il nero pece di una notte in quota.
9 settembre
L’unico modo per ripartire da qui, non essendo intruppati in un tour organizzato, è contrattare un passaggio di fortuna con i gestori dell’Hostal. Per fortuna oggi c’è un cambio di personale per cui
parte una camionetta verso valle. Ci stipiamo in un numero imprecisato di umani nell’abitacolo e lasciamo questo luogo magico. Il guidatore ci scarica appena può sulla Panamericana, sempre in un punto X su un tratto Y. Estorcendoci anche una discreta cifra in dollari. Vabbè, affanculo, tanto l’esperienza di ieri a piedi in quel paradiso, con la nostra guida speciale a 4 zampe, non ce la leva più nessuno. Aspettiamo pazienti un bus per Quito che per fortuna arriva nel giro di poco. Arrivati alla stazione ci mettiamo un po’ a decidere cosa fare l’indomani e dopo una ricerca non facile tra i mille terminal troviamo i biglietti per il bus giusto di domattina. Cambiamo ricovero per la nostra seconda tappa in città e decidiamo di alloggiare all’Hotel San Francisco: stile coloniale, patio centrale (e vabbè, come sempre, lo stile coloniale ha il patio centrale!), stanze su più piani con l’affaccio sulla corte. Incredibilmente economico per lo standard, e alla nostra portata. Rinfrancati da una bella doccia giriamo per ore a piedi la città e ceniamo in un Ristorante chiamato Vista Hermosa: una terrazza con vista magnifica sulle luci e le decine di colline di Quito. Per arrivarci si entra da una piccola porticina e, con un’ascensione con tanto di Liftman in divisa, si accede ai tavoli open air e al panorama. Magnifico, tranne la cena che fa un po’ schifo e il conto che è salato. Pazienza.
10 settembre
Abbiamo deciso di dedicare gli ultimi spiccioli di viaggio alla visita della costa nord-ovest del paese: la nostra destinazione di oggi è Canoa! Bene.
Raggiungiamo la mega stazione centrale dei bus lasciata solo ieri (con un viaggio in taxi eterno, Quito è immensa!) e partiamo per questo viaggetto: nove – nove! – ore di bus – con cambio finale su scasso bus per l’ultima tappa di circa un’ora. All’arrivo ci aspetta un piccolo paese sonnacchioso sull’Oceano Pacifico, strade di sabbia, vari Hostal super fricchettoni sulla spiaggia. Naturalmente uno è nostro, senza troppa fatica per fortuna. Stanza molto basic, bagno in comune. Giardino semi incolto con gatti e cani e amache e tavolo da biliardo e bar. Pavimento è la sabbia. Davanti il mare. Avventori nella media, con la metà dei nostri anni. Ma facciamo sempre la nostra porca figura. Perfetto! La serata passa easy, tra chiacchiere, birre, birre, sigarette, chiacchiere, birre….. buonanotte all’Oceano e a noi.
11 settembre
Oggi la giornata trascorre in totale relax, come solo un luogo come questo può regalare. Canoa in verità non è un luogo strafigo come si può pensare sentendone la descrizione. Non nei canoni dell’immaginario di luoghi come questo, per lo meno. Tutto è un po’ scassato, un po’ improvvisato, ma è in questo il suo valore. L’atmosfera è davvero serena e limpida. Facciamo amicizia con Damian, un uomo di circa 55 anni, che vive gestendo il classico chiosco sulla spiaggia, condotto in società con 4 – 5 cani sgangherati che ha deciso di adottare. E che naturalmente mi adottano all’istante. Frequentatori abituali: giovani e svariati freak di provenienza globale – Francia – Germania – America – Spagna e noi, Italia. Tra un frullato di frutta fresca, una birra e una fumata le ore trascorrono molli e senza tempo. Un regalo.
12 settembre
Oggi abbiamo tutta la giornata davanti a noi ancora dedicata al nulla e allo zonzo spiaggistico. Partiremo questa sera con un bus notturno per tornare a Quito. La partenza è prevista per le 22.00 circa per cui al mattino liberiamo la camera ma restiamo ospiti semi abusivi dell’Hostal: nel senso che lasciamo qui in custodia gli zaini, facciamo base nel loro bar-giardino e ci dedichiamo ad attività varie ed eventuali: passeggiate sulla spiaggia, corse con i cani randagi, partite a biliardo, birre, chiacchiere e letture.
La giornata scorre tranquilla e arriva l’ora del dopo cena. Riprendiamo gli zaini e ci incamminiamo fino al marciapiede davanti ad un negozio qualsiasi da dove il bus ci raccatterà. Siamo una ventina tra viaggiatori locali ed esteri. Gli altri saliranno man mano per strada. La notte è scesa, saliamo avvolti dal buio più totale sul bus e prendiamo posto. Partiamo: viaggeremo per tutta la notte, cercando di dormire… mah…. il bus percorre a velocità sostenuta strade invisibili, intorno a noi nero pece. Potrebbero esserci burroni chilometrici a destra o a sinistra. Forse meglio non sapere. Arriviamo a Quito ad un’ora antelucana, circa le 5 del mattino e il bus ci scarica alla periferia della città evitando accuratamente la stazione. Come mai? Veniamo circondati da decine di taxi abusivi che naturalmente sono lì apposta. Ah, ecco perché siamo qui…. Arrendersi al viaggio, come sempre. Che altro fare. Facciamo da noi. Alla fine se fai così tutto fila. Tanto un taxi vale l’altro. Proviamo a convincere una coppia di francesi che paiono terrorizzati dalla situazione imprevista a dividere il taxi con noi per pagare di meno ma ci guardano come fossimo due assassini criminali affiliati al Cartello di Medellin. Ma vaffanculo. Contrattiamo per conto nostro il prezzo con un tassista e ci facciamo portare all’Hotel San Francisco – again – dove abbiamo prenotato l’ultimo alloggio del viaggio. Peccato che ci arriviamo davanti in pieno buio alle 5.30 del mattino. Suoniamo, il portiere di notte ci apre e ha pietà di noi. Ci ricovera in una camera di fortuna in attesa della luce dell’alba e che si liberi la nostra stanza. Ci schiantiamo nel letto per qualche ora. Cristo, che notte…..
13 settembre
Alla fine per evitare altri sbattoni decidiamo di tenere la camera di fortuna anche per oggi, chissene….. dopo una bella colazione ci buttiamo nell’ultimo vorticoso e intenso giro per la città e per i dintorni. Ancora un po’ di strade affollate, ancora un po’ di piazze, poi contrattiamo una corsa in taxi per farci portare al mitico Teleferiqo, una verticalissima teleferica che si arrampica fino alle pendici del vulcano Pichincha che incombe dall’alto dei suoi 4680 metri sulla città. Oggi osserviamo Quito dall’alto e con gli occhi di chi parte. La città, anche nella sua povertà e nel suo casino, è di una bellezza straordinaria. Una estensione a perdita d’occhio sparsa, divisa, tra montagne, colline, valli. Tante città, una città. Dalla cima del Teleferiqo ci incamminiamo un po’ per i sentieri ma piano piano, siamo in quota: oltre 3000 metri (Quito è già a 2800 metri). Quando ci sentiamo soddisfatti scendiamo (io a occhi chiusi, la discesa è davvero verticale!). Concludiamo la giornata con una cena qualsiasi e ci prepariamo per la partenza di domani.
14 settembre
Ecco, ci siamo: si deve tornare. Al mattino girovaghiamo ancora un po’ per la città e finiamo nella piazza centrale dove il Presidente Correa incontra per l’appuntamento settimanale i cittadini per relazionare su ciò che è stato fatto e ciò che si farà. Un incontro pubblico che pare una festa, con musica, video, balli….. Incredibile. Non siamo più abituati ad una vicinanza, semplicità e verità così diretta, quotidiana, della gestione della cosa pubblica. Partecipiamo come fossimo due cittadini ecuadoriani al 100%.
Il resto della giornata di oggi non è null’altro che un taxi, un aereoporto, un decollo, un atterraggio, un decollo, un atterraggio, uno scalo, un decollo, un atterraggio……dal giorno si passa alla sera, alla notte, all’alba, al giorno. Tra le nuvole, in transito. Come ogni ritorno. Meglio quando si parte.
15 settembre
In volo da ieri: Quito decollo. Atterraggio Guayaquil. Decollo. Atterraggio, Madrid. Attesa. Decollo. Atterraggio. Torino.
Tornati.
ITINERARIO
15 agosto 2013 – Torino – Madrid – Guayaquil – Quito – volo Iberia
16 agosto 2013 – Quito – giro per la città
17 agosto 2013 – Quito – giro per la città
18 agosto 2013 – da Quito a Guayaquil in aereo – volo per Baltra, Galapagos – bus – ci imbarchiamo – parte tour per Galapagos
19/24 agosto 2013 – tour crociaera – trekking – snorkeling Isole Galapagos su Yolita
25 agosto 2013 – da Baltra a Isabela con miniaereo – Galapagos “fuori rotta”
26 agosto 2013 – a Isabela – trek ai vulcani e tour in barca.
27 agosto 2013 – da Isabela a Puerto Ayora (Galapagos) in motoscafo. Volo per Guayaquil. Tour a piedi per la città
28 agosto 2013 – ancora a zonzo per Guayaquil
29 agosto 2013 – Volo terrificante per Loja (passaggio sulle Ande). A piedi per Loja – – tour con bus e trekking a Villcabamba – rientro a Loja in serata
30 agosto 2013 – in bus per Saraguro – lungo trekking sulle montagne – rientro a Loja
31 agosto 2013 – da Loja a Cuenca in bus – tour a piedi per Cuenca
1 settembre 2013 – tour verso le montagne – bus e a piedi – vari paesini (Gualaceo, Charteleg, Sig Sig). Rientro a Cuenca in serata.
2 settembre 2013 – sempre base Cuenca – bus verso alta montagna – Parco del Cajas – lungo trekking in quota – rientro a Cuenca in serata
3 settembre 2013 – verso nord – da Cuenca a Riobamba – tour a piedi per la città
4 settembre 2013 – da Riobamba a Banos in bus — a zonzo per Banos fino a sera
5 settembre 2013 – tour per la Routa de las Cascades – pomeriggio alle terme en plain air
6 settembre 2013 – da Banos a Lataconga – tour a piedi per la città – cena cucinata da noi in Hostal
7 settembre 2013 – Tour alla Laguna Quilitoa – trekking di oltre 10 Km – ala sera svenimento in Hostal
8 settembre 2013 – con bus da Lataconga verso riserva/parco Volcan Cotopaxi – base a Lodge Tambopaxi – lunga camminata in solitudine nel parco con il cane Yolp – cena – camino
9 settembre 2013 – IIn jeep con cambio personale fino a Panamericana – bus per Quito – riposo e camminate senza meta per le vie di Quito – cena sul tetto con vista città
10 settembre 2013 – 9 ore di bus per la costa nord occidentale: meta Canoa – arrivo – Hostal Coco Loco – totale relax
11 settembre 2013 – ancora totale relax a Canoa
12 settembre 2013 – giornata di relax e nulla a Canoa – partenza con bus notturno per Quito – si viaggia tutta la notte!
13 settembre 2013 – in tour per Quito – gita alle pendici del Volcan Pichincha – Teleferica (Teleferiquo!)
14 settembre 2013 – mattina ancora in giro per la città – comizio/incontro con il Presidente Correa – al pomeriggio taxi per aereoporto – si parte
15 settembre 2013 – volo – scalo – volo – scalo – volo scalo: Quito, Guayaquil, Madrid, Torino. Arrivati
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