Il Principe Ranocchio
Spesso durante i nostri viaggi abbiamo vissuto esperienze che meritavano di essere raccontate con maggiore respiro rispetto al diario, con più inventiva, con enfasi, con ironia…
Per questi motivi abbiamo raccolto qui quelle che per ora hanno visto la luce. Altre sono ancora nel cassetto ma appena possibile si aggiungeranno alle esistenti per arricchire queste pagine che mescolano realtà e fantasia.
Buona lettura.
Il Principe ranocchio
Il Royal Hotel nel porto delle balene
Ovalau è un’isola selvaggia, fantastica e magica, lontana da tutto. Così appare anche se non è. Sarà forse per l’arrivo: si atterra con un piccolo aereo sobbalzando su una striscia di terra tra la foresta rigogliosa che recalma lo spazio rubato. Sbarcati, un po’ scossi, si è attesi da un camion arrugginito che per più di un’ora saltella sulla traccia di quella che dovrebbe essere una strada. Sudati e impolverati si viene scaricati nel bel mezzo di un film, un piccolo paese costruito con fondali western, ma di colori decisamente più accesi: blu, rosso, arancione…grosse insegne a pennello promettono sogni, come “Cinema Levuka”.
Chissà se troveremo da dormire al leggendario Royal Hotel? Certo, c’è una stanza per tutti, come dubitarne?
Il Royal Hotel è come un grande vascello in secca, semiabbandonato. Grandi saloni di legno scuro con vecchi biliardi e fotografie ingiallite di balenieri sorridenti e impavidi appese alle pareti, camere austere con pavimenti che scricchiolano secchi e annoiati dal silenzio, fiori in procinto di appassire sui tavoli, un piccolo bar polveroso che spaccia i suoi liquori per mano di un barista burbero e scostante. Sul retro giovani ragazzi figiani provano fallimentari schemi e tattiche di rugby in un prato sconnesso. Moby Dick fende le onde al largo della costa, vagheggiando le battaglie del passato.
Rally ciclistico
Che si può fare in questo posto che pare abbandonato da Dio e adottato dagli Dei? Si può ad esempio affittare in una specie di garage abbandonato una bicicletta e provare a spingersi oltre. Ma oltre dove?
La strada è di terra, costellata di buche grosse come crateri e con grande fatica si procede avanti, lungo la costa. Si incontrano case abbandonate, vecchi pali della luce sommersi dalle onde salate, piccole chiese silenziose arroccate sulla cima di promontori a picco sul mare. Lì ci si può fermare ad osservare una piccola pianta carnosa che spunta a fatica tra l’erba per portarsela a casa nella memoria e ricordarsela sempre; pensarla a distanza di anni mentre cresce e si trasforma, ed esiste comunque, lontana da te oramai migliaia di chilometri e milioni di secondi. O forse muore, o si trasforma, come te.
E proprio mentre fermi nella mente quella immagine, sulla strada passano decine di bambini usciti da scuola, vestiti delle loro divise colorate, e ridono e tu ti inciampi proprio mentre sei in mezzo a loro, che ridono più forte; e speri che loro, mentre tu oramai sei qui, oggi, ancora ridano e scherzino con te e di te, speri che abbiano buttato le loro gonne blu e rosse e le loro camicie bianche nel mare, magari giocando al telefono senza fili: pronto Levuka ? Levuka, mi senti ?
Persa nel blu
Saltellando tra una buca e l’altra, nella polvere alzata dalle ruote sgonfie della bicicletta, senti che è ora di fermarti e di sciogliere la terra che si è accumulata in gola. Sul ciglio del sentiero si ergono, come città fantasma, un gruppo di casette di legno che qualche anno fa dovevano essere un rifugio per turisti. Ora è deserto.
Il piccolo bar è comunque aperto e una giovane donna accompagnata dal suo cane ti fa accomodare ai tavolini all’aperto, in un giardino non più curato da tempo ai bordi di una piscina mai più usata da anni. Seduti, sorseggiando una birra sul bordo della piscina azzurra, notiamo una piccola rana nell’acqua e pensiamo: padrona del mondo, sola nell’acqua dai riflessi turchini, nessuno a contenderle la vasca; forse a breve ordinerà un daiquiri.
Poi osserviamo i suoi goffi tentativi affannati per guadagnare la riva, il suo scivolare maldestro sul bordo liscio di ceramica azzurra, il suo essere in trappola. Riflessione: ciò che pare il paradiso alla prima semplice occhiata, può in verità essere l’inferno più buio.
Il Principe ranocchio
Nel giorno dell’incoronazione del nuovo Re delle Rane, tutto il regno era in subbuglio: c’era chi intrecciava tovaglie di fili d’erba fresca, che arrostiva spiedini di mosche, chi mescolava moscerini e petali di fiori nel paiolo.
Il Principe ranocchio si stava preparando, nell’ombra silenziosa del suo appartamento di fango e ripeteva ad alta voce il suo discorso, specchiandosi nella piccola pozza d’acqua: “Amici, fratelli d’umido limo, sorelle di fresca fanghiglia, questo è un giorno speciale per me e per tutti noi. Oggi mi concedete l’onore di essere il vostro Re per gli anni a venire ed io vi ringrazio. Celebro il momento solenne del fulgore del nostro regno glorificando il nostro Dio e protettore, Manobianca, offrendogli la mia e la vostra abnegazione e fedeltà. Nel giorno solenne che segna l’inizio della nuova era, ricordiamo tutti insieme la nascita della nostra fortuna: migliaia di ranesecondi fa, mi trovavo perduto nell’immenso blu dell’ignoto, caduto chissà come e da dove nell’abisso mentre ero in cerca di nuove terre per il nostro popolo dimenticato. Raneore, ranegiorni a cercare l’uscita, nel pensiero di voi, fiduciosi nella mia missione. e quando tutto pareva perduto, prima l’ombra dall’apparenza minacciosa, ma poi la salvezza! L’aiuto del nostro Dio Manobianca, che in un attimo mi solleva e riporta tra la fresca erba che ci dà la vita. Da lì la strada del ritorno a voi, la nostra rinascita nelle terre di confine trovate tra lo sterile mare salato e il freddo e liscio deserto turchese. Ora qui prosperiamo e nel giorno della mia incoronazione da principe ranocchio a Re delle Rane Levuka io apro le celebrazioni per Manobianca, salvatore e protettore del nostro popolo. Cantiamo in suo onore. Tutto questo vi racconto e questa è la mia preghiera”.
Perché i grandi momenti possono in realtà essere piccoli, a seconda del punto di vista. E viceversa.
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