Madagascar 2011
DIARIO
Un mese in Madagascar tra lemuri, megattere e buche
19 agosto
Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese ecco che è arrivato anche quest’anno, anche per noi, il momento di partire. Finalmente. Possiamo lasciarci tutto alle spalle, o quasi, e caricarci sulle spalle i nostri amati zaini sempre più piccoli, sempre più leggeri. La nostra personale sfida al superfluo. Anche solo per un mese all’anno. Speriamo di più. La nostra destinazione di quest’anno sarà il Madagascar, una delle più grandi isole al mondo, l’isola unica e irripetibile per animali, piante e uomini che la abitano. L’isola separata dal grande continente africano milioni di anni fa e che ha interpretato la corsa evolutiva a modo tutto suo, unico. Siamo senza fiato solo all’idea.
Partiamo all’alba del 19 agosto verso l’aeroporto di Torino Caselle, da lì voliamo fino a Parigi e poi, con il solito eterno volo intercontinentale, verso il sud del mondo, verso il Madagascar!
Atterriamo quindi in Madagascar ad Antananarivo – Tana – verso le 22.30. Abbiamo come sempre prenotato dall’Italia una guesthouse vista l’ora tarda prevista per lo sbarco. Al’aereoporto ci viene a prendere Andry, un tassista-guida locale che collabora anche con la Maison du Pyla dove dormiremo questa notte. Ci accoglie un’aria fresca (siamo a circa 1500 mt di altitudine) e la solita strana mezzaluna nel cielo notturno sdraiata con la pancia verso il basso… meraviglie degli altri emisferi!
Approdiamo alla guesthouse – molto carina – doccia e sonno profondo. Domani saremo pronti!
20 agosto – primo giorno in Madagascar
Ci svegliamo rinfrancati, desiderosi di ignoto e affamati. Dopo una prima e abbondante colazione partiamo a piedi alla scoperta della città. Antananarivo è una megalopoli del terzo mondo sparpagliata su ben 18 colline che dalla quota di circa 1400 metri arrivano fino a 2600 metri. Altro che i nostri 7 colli romani….Ci perdiamo a piedi per la città, sbagliando strada più volte, finendo a chiedere soccorso bagno e caffè in piccoli ristori gestiti da locali che non parlano neppure una parola di francese ma ci accompagnano a far pipì a casa di qualcuno….vaghiamo per la città riuscendo ad arrivare non si sa come verso il centro attraversando quartieri di mercati, vie trafficate, feste per bambini, venditori ambulanti, offerte di passaggi in taxi dell’epoca coloniale, mendicanti bambini costretti a stazionare seduti su cartoni nelle gallerie dei sottopassaggi che attraversano le viscere delle colline cittadine. Visitiamo il lago, la zona dei ministeri, la stazione centrale. Veniamo fermati dai militari locali che cercano di fotterci chiedendoci il passaporto nella speranza di trovare i fessi che l’hanno lasciato in albergo per paura di perderlo e così fare qualche soldo (ma noi ce l’abbiamo!), rischiamo uno scippo di macchine fotografiche e soldi da parte di un gruppo di bimbi veramente piccoli per cui all’apparenza innocenti, ci fermiamo a prendere una birra in una specie di pub in centro città che è in realtà una specie di bordello a cielo aperto per schifosi occidentali che, in gruppo, abbordano ragazzine (una anche visibilmente incinta) che si vendono per due soldi… un po’ troppo come primo giorno per cui con calma decidiamo di tornare alla guesthouse, sempre a piedi per poter comunque respirare la vita quotidiana. E lo smog. Doccia, relax sulla terrazza sul tetto e cena. Domani ci siamo accordati con Andry per incontrarci qui e vedere se riusciamo ad organizzare con lui il trasferimento verso le prossime mete, ancora non ben definite. Notte Tana…
21 agosto
Mattinata tranquilla con uscita a piedi per cercare una banca e qualche soldo in moneta locale. Scopriamo, non senza una certa difficoltà, che la moneta locale ha una banconota del valore massimo di circa 3.50 euro. Per prendere pochi soldi per le prime necessità siamo costretti a ritirare una mazzetta di banconote che pare un materasso! Nel primo pomeriggio arriva Andry per organizzare i nostri primi giorni in Madagascar. Scopriamo che in realtà, oltre a fare il tassista su brevi distanze, si offre anche con la sua macchina, una BMW 318 del 1986, per tour di più giorni a zonzo per il paese. Ci accordiamo sul prezzo, sulle prime tappe e poi, di comune accordo, si vedrà come proseguire, a seconda di ciò che incontreremo e decideremo….stretta di mano, tè caldo e appuntamento a domani mattina. Ci prepariamo per la cena con una birra sorseggiata sempre sul tetto della guesthouse dal quale si può spaziare con lo sguardo sulla città e a cena mangiamo ad un tavolo unico con gli altri ospiti appena arrivati: un gruppo di giovani ricercatori e biologi canadesi e americani che resteranno in Madagascar qualche mese per un progetto di studio-lavoro. Solita chiacchiera multilingue e poi a dormire. Domani si parte all’avventura. Si parte!
22 agosto
Al mattino, di buon’ora, chiudiamo gli zaini, facciamo colazione e a ruota partiamo con Andry verso i primi giorni on the road del nostro viaggio in Madagascar. Cominciamo a macinare chilometri sulle iniziali buone strade del Madagascar che diventano, chilometro dopo chilometro, sempre più dissestate. Usciamo dal delirio della grande città e ci avventuriamo verso sud. I primi stop prevedono una visita, in un paese sul ciglio della route, a una fucina di alluminio. Una piccola impresa familiare, come decine nel villaggio, che recupera motori e scarti vari per fonderli in maniera artigianale e ricavarne pentole e padelle. Un laboratorio a cielo aperto dal sapore lievemente infernale per calore e condizioni di lavoro ma decisamente spettacolare per la maestria degli artigiani e la qualità del prodotto finito. Le fotografie del nostro reportage parlano dal sole. Dopo pochi chilometri altro stop dagli artigiani che creano souvenir dal corno di zebù (zona di Antsirabe) e successivo stop ad altro shop artigiano che costruisce buffe riproduzioni di auto, camion, biciclette con materiali di scarto (dalle lattine di bibite al filo da pesca, dai tubicini in plastica delle flebo agli aghi…). Il tragitto prosegue tra campi coltivati e prime pendici di montagne. Arriviamo ad Ambositra, un piccolo e suggestivo paese di montagna. Ci piazziamo in un hotel nella via centrale del paese e verso sera usciamo a piedi ad esplorare senza meta i dintorni, camminando qua e là tra piccole vie in salita e gente in transito. Ceniamo insieme ad Andry in uno degli hotely più conosciuti di Ambositra, tra sculture in legno che qui sono la specialità del posto, e teste mummificate di zebù e poi ce ne andiamo meritatamente a dormire.
23 agosto
Non avendo così tanti chilometri da fare oggi dedichiamo parte della mattinata per aggirarci ancora un po’ senza meta tra le strade trafficatissime di Ambositra, piccolo villaggio arroccato sulle alture del Madagascar. Tra una fotografia e una chiacchiera con le guide locali che incessantemente ci propongono trek tour ai villaggi sulle montagne che producono manufatti artigianali in legno passano le ore. Come tutti i pochi turisti presenti veniamo “scortati” per tutta la promenade da un gruppo di ragazzi che insistentemente chiedono l’acquisto di uno o più palloni per fantomatiche società di calcio e/o basket….chissà se è vero… noi alla fine, stremati, un pallone lo compriamo e glie lo regaliamo ma l’impressione è che nel giro di 10 minuti il pallone sarà restituito al proprietario dello shop e loro intascheranno degli AriAri… del denaro insomma… ma vabbè, così è la vita in questi luoghi linee di confine. Arriva l’ora di partire e il viaggio come sempre ci regala istantanee meravigliose che scorrono senza sosta dal finestrino della macchina. Serpenti di strada tortuosa salgono e scendono dai fianchi delle montagne, ogni tanto ci fermiamo sul ciglio di qualche precipizio per fermare sulla pellicola (ebbene sì… usiamo ancora la pellicola…) la magnificenza di valli selvagge che si inabissano davanti ai nostri occhi fino a toccare l’orizzonte. Ci fermiamo all’ora di pranzo in un piccolo paese e mangiamo due uova fritte in un locale… pieno di locali. Il cesso nel cortile sembra un film dell’orrore ma espelliamo comunque. Poi si riparte, si risale, ci si ferma di nuovo per fumare una sigaretta, per scattare una foto, per fare la pipì. Ecco, appunto… in mezzo al nulla compare tra la foresta una specie di area di sosta pipì-snack – molto artigianale per cui decido di approfittarne avendo meno facilità ad espletare la minzione en plain air rispetto al sesso maschile. Il casotto pisciatorio è sulla cima di una piccola collina e
mi ci dirigo a passo rapido ma… peccato che stia cominciando a cadere una pioggerellina sottile, saponosa, infida… e cado…. una botta da non dire….i gestori malgasci trattengono a stento le risate, Sigfrido e Andry pure ma io, dopo la pisciata, lamento traumi osseo-muscolari mica da ridere. Il mio ginocchio, nei prossimi giorni, avrà di che lamentarsi.
Sotto la pioggia sottile e insistente raggiungiamo Ranomafana (e naturalmente il tergicristallo si è rotto proprio ora), scendendo verso una valle che, proprio grazie alle piogge e all’umiditàdi quest’area, è un tripudio di verde e di foresta. Arriviamo e troviamo da dormire in un bungalow arrampicato sulla collina. Il pomeriggio scorre lento tra caffè e tè seduti ad un tavolino che affaccia sul fiume e sull’intrico di verde impenetrabile di fronte a noi. Cena insieme ad Andry (io solo tè, l’uovo fritto di pranzo ancora saltella nel mio stomaco). A nanna presto anche perché qui, con il buio, la vita si ferma molto presto. Solo notte, foresta, rumore di pioggia sottile sulle foglie larghe e verdi della foresta che ci circonda. Il Madagascar selvaggio, vero, umido.
24 agosto
Sveglia molto presto, anche perché siamo andati a dormire con le galline. Colazione e poi ci dirigiamo verso l’entrata del parco per un trek che ci impegnerà tutta la mattinata. Ci inoltriamo, accompagnati da una delle tante guide del parco, tra sentieri fitti e fangosi e incontriamo i primi lemuri dell’isola incantata. La pioggia ci accompagna per tutta la camminata e tra un avvistamento e l’altro ci inzaccheriamo di fango fino alle ascelle. Oggi è il compleanno di Sigfrido. Quale migliore modo di festeggiarlo? Almeno a noi pare così. Verso l’ora di pranzo riemergiamo dall’intrico verde, sazi e soddisfatti, e dopo una sommaria pulizia delle scarpe risaliamo in auto con Andry e ci dirigiamo verso la prossima meta: Ambalavao. Dopo un bel po’ di strada che sempre continua a regalarci visioni di mondi altri facciamo tappa a Fianarantsoa. Pranziamo come sempre in un piccolo hotely nascosto tra i banchi del mercato (mangiando benissimo e per una cifra ridicola) e poi Andry ci lascia alla città alta, la città vecchia e antica. Ci facciamo una bella camminata tra vie ripide e strette, vecchie case, palazzi, gatti, polli, fiori e bimbi che cercano di venderci qualsiasi cosa. Ci fermiamo in un piccolo ristoro per gustarci un frullato di ananas e limone a dir poco divino e poi raggiungiamo Andry all’auto che prima di proseguire verso la meta di fine giornata ci porta ancora, percorrendo una stradina strettissima e sterrata, ad un belvedere sulla cima di una collina sopra la città: da qui possiamo spaziare con lo sguardo sulle case e sul mondo sottostante. Si riparte: dobbiamo macinare ancora molta strada, o forse poca ma con le strade malgasce anche pochi chilometri possono essere eterni.
Arriviamo al tramonto ad Ambalavao e troviamo alloggio in uno spartano piccolo albergo proprio accanto al grande mercato del paese che sta smantellando i banchetti. La stanza è molto
basic ma preferiamo dormire negli stessi posti economicamente accessibili anche ad Andry per restare insieme e insieme a lui conoscere e capire meglio il paese che stiamo attraversando. La sera fa molto freddo e anche qui come a Tana, dopo aver cenato insieme e festeggiato il compleanno di Sigfrido che soffia sull’accendino invece che sulle candeline, troviamo una terrazza sul tetto dalla quale osservare il paese che si prepara per la notte, che qui è buia come una caverna. Nessun inquinamento luminoso, solo un cielo di stelle magnifiche che punteggia il cielo nero. Una delle poche volte nella nostra vita nella quale riusciamo a vedere una via lattea completa, che tocca i due orizzonti opposti, da montagna a montagna… il mondo è una meraviglia sorprendente. Ogni volta. Sempre di più. Happy birthday Sig!
25 agosto
Altra sveglia all’alba, inesorabile, e poi partiamo. Prima di uscire dal paese facciamo una serie di visite: un laboratorio di seta con tanto di bachi che bollono nel pentolone (argh…), un laboratorio artigiano di carta ottenuta da una pianta locale che serve per creare quadri floreali, una vigna fuori città con tanto di produzione vinicola di imbevibili rossi e liquori (veleno!), e il mercato degli zebù che io visito di spalle… dopo tutti questi stop partiamo per la tratta che ci porterà fino alla cittadina di Ranohira alle pendici del parco de l’Isalo. Verso la metà della mattinata facciamo uno stop al piccolo parco Anja Reserve, una riserva gestita dalla comunità locale. Per fortuna, grazie ad un ragazzo nato qui che si è molto impegnato, il villaggio ha pensato di riconvertire l’area a riserva naturale e l’impresa dà da lavorare e mangiare ad un bel po’ di persone, oltre a preservare flora e fauna autoctone. Qualche ora di cammino tra lemuri, iguane, uccelli, insetti, rocce, caverne, tombe tradizionali ci regalano una pausa-avventura molto interessante. Consigliamo. Riprendiamo la strada e tra pianure, curve, montagne, tornanti e skyline mozzafiato arriviamo a Ranohira. Troviamo alloggio sempre grazie al nostro amico Andry, andiamo a contrattare con le guide del parco per il trek di domani e poi ci prepariamo per la cena. Tutti insieme, come sempre, per un secondo festeggiamento del compleanno di Sig. Che le feste non finiscano mai!!!
26 agosto
Alba, colazione, zaino da trek e partiamo. Con Andry e la nostra guida raggiungiamo in auto l’ingresso del parco e poi partiamo a piedi. Il parco de l’Isalo è magnifico. Cominciamo arrampicandoci su per una montagna, incontrando falchi, aquile, insetti stecco, tombe tradizionali, alberi antichissimi. Finita la salita raggiungiamo un altopiano di rocce e cespugli aridi e proseguiamo sotto il sole tra la natura selvaggia e magnifica. Dopo alcune ore, nelle quali ogni scorcio, ogni sosta è stata una gioia per gli occhi, raggiungiamo una spaccatura della roccia sotto di noi, una specie di canyon primordiale nel quale scorre un piccolo fiume. Ci caliamo e scopriamo l’Eden. Vegetazione lussureggiante, cascate, grotte e pozze dove è possibile fare il bagno. E infatti lo facciamo! Stupendo… Tempo per asciugarci al sole e riprendiamo il cammino. Riemergiamo dal canyon e ci inoltriamo in una valle arida tra surreali piante grasse e rocce che celano scorpioni. Cammina cammina arriviamo in cima ad un secondo altipiano che ci regala la vista a perdita d’occhio di tutta la valle sottostante. Sulla parete sotto di noi battaglie tra volatili vari e rapaci. Il vento soffia forte… Pausa e poi si riparte. Ancora un’ora di cammino e da un sentiero che pare sbucato dal nulla scendiamo verso la valle successiva. E’ ora di pranzo e ci accampiamo lungo un fiume per mangiarci i nostri panini-pranzo. Circondati dai lemuri… incredibile.
Dopo la pausa ripartiamo verso la foresta buia che invade la valle di fronte a noi…. cammina cammina e arriviamo ad una magnifica cascata, poi ad una pozza di acqua cristallina nella quale facciamo naturalmente un secondo bagno, ci inoltriamo nella jungla tra lemuri bianchi e neri timidi e curiosi al contempo, litighiamo con un gruppo “orrendo” di italiani in tour con avventure nel mondo che credono di essere a rimini, incappiamo in ragni della dimensione di un cocco, bisce d’acqua e insetti volanti vari….click – foto – spalsh – bagno – sgnachh – fango – swisss – sempre fango…. dopo ore di cammino raggiungiamo l’uscita del parco. Lì ci aspetta Andry il salvatore! Ma la giornata non è ancora finita! Prima di rientrare andiamo ancora a visitare il museo del parco (piccolino ma ben allestito) e ci tocca pure andare a vedere il tramonto al sunset point turistico. Terribile per la quantità di turisti – appunto – presenti ma bellissimo per la natura che ci circonda. Nel bel mezzo di una savana punteggiata di palme polverose, il sole tramonta tra rocce millenarie modellate dal vento. Se si riesce a spegnere l’audio e a non sentire le cagate che dicono gli altri il posto conserva una suggestività unica….
Andry ci raccoglie col cucchiaino, ci carica in macchina – la solita e mitica BMW – e ci riporta a Ranohira. Doccia (imprescindibile), birretta pre-cena, cena e svenimento al massimo un’ora dopo il calar del sole….dio, che dormita…
27 agosto
Ci svegliamo con ossa e muscoli rotti ma decisamente tonici! Oggi ci aspetta una lunga giornata di trasferimento perché abbiamo deciso di arrivare fino all’estrema costa sud-ovest del paese. Almeno quella percorribile senza un 4×4. Destinazione Toliara (Tulear). Per il primo tratto del percorso continuiamo a viaggiare tra le montagne che ieri abbiamo in parte percorso a piedi e man mano che i chilometri scorrono il paesaggio si fa sempre più arido, una specie di via di mezzo tra il deserto e la savana. Giallo, giallo e ancora giallo sotto un cielo turchese. Qua e là fumo di incendi di stoppie, falchi che scendono in picchiata su piccole prede spaventate dalle fiamme, palme a perdita d’occhio nell’orizzonte senza fine. Nel nulla, come sempre in questi vuoti, si incontrano persone a piedi o in bicicletta che suscitano, qui come altrove, la stessa annosa domanda: da dove vengono e soprattutto, dove vanno? La strada è asfaltata ma è tempestata di buche simili a voragini e Andry è costretto ad una guida che possiamo definire di stop and go. Più stop che go… Passano le ore e tra una pausa pipì nel nulla e uno stop tecnico sigaretta arriviamo sul mare di Toliara. La città è abbastanza grande, molto scassata, dall’atmosfera piuttosto cupa e aspra. Poverissima e, scopriamo troppo tardi, purtroppo meta da anni di turismo sessuale. Troviamo alloggio in uno dei tanti alberghi sul mare mezzi vuoti e mezzi in disfacimento. Dopo esserci piazzati andiamo con Andry in caccia di informazioni sulla possibilità di raggiungere la cittadina di Ifaty a nord via mare (le strade sono impercorribili) e tra una scassata compagnia di barche che ci chiede troppo e una visita al porto commerciale che offre passaggi sui barconi a minor prezzo, decidiamo di pensarci su e torniamo all’hotel.
Passiamo il resto del pomeriggio nel giardino incolto davanti al mare tra chiacchiere e birra. Alla fine deliberiamo che il costo e lo sbattimento per raggiungere una località bella ma pur sempre solo di mare, non ci interessa e scegliamo di ripartire la mattina successiva per tornare sui nostri passi e puntare al nord. Alla sera, prima di uscire con Andry per andare a mangiare nel solito piccolo hotely sulla strada incontriamo un personaggio da b.movie. Pensionato 65enne, ex insegnante di liceo piemontese, che con la sua piccola pensione vive qui da anni facendo una vita agiata e servendosi delle attenzioni di giovani prostitute locali (insieme ad una comunità locale di europei tra italiani e francesi di qualche centinaio di unità). Lo ascoltiamo, per provare a capire che persone realmente siano quelle che come lui infestano il mondo civile. Colto, gentile, con vita in Italia devastata da un divorzio difficile e con un figlio che non gli vuole più parlare (e dagli torto), amante dell’arte, della musica…. non un mostro dai tratti visibili e marcati…. uno qualsiasi, quello che se lo incontri qui sembra una gran brava persona… da brividi…. domani ce ne andiamo dalla martoriata Toliara. Sicuro.
28 agosto
Di buon mattino riprendiamo la strada verso nord e decidiamo di fare qualche tappa non prevista lungo il tragitto. Proviamo a fermarci a caso in un piccolo villaggio sul ciglio della strada per conoscere le persone e scattare qualche fotografia. Il villaggio è poverissimo, di fango, paglia e legno. Uomini lavorano con strumenti rudimentali alla costruzione di sedie per i mercati delle città, le donne cucinano e coltivano i campi e i bambini si moltiplicano. In genere e intorno a noi. Contrattiamo una offerta in denaro alla comunità con il permesso di scattare delle foto e restiamo per un’ora circa tra le persone del villaggio, la polvere, le galline, i cani spelacchiati e i camion scassati che sfrecciano sulla strada che taglia in due il villaggio. Riprendiamo la strada e facciamo dopo qualche ora una tappa a Ilakaka il paese nato dal nulla qualche anno fa per la scoperta di un giacimento di zaffiri e relativa miniera. Sembra un paese di confine, sporco, duro, pericoloso (in effetti qui gli enormi interessi e la lotta per l’estrazione e la compravendita del prezioso minerale si respirano nell’aria). Visitiamo un mega shop di pietre preziose ed anche la miniera anche se, essendo domenica, la troviamo quasi vuota di operai (due o tre messi lì a scavare a noi pare a nostro uso e consumo… accidenti al nostro puzzo di turisti che si sente lontano un miglio… che qui si chiamano vasà, tra l’altro, come mzungu in Tanzania…). Risaliamo sul nostro bolide vintage e percorriamo i chilometri che ci separano dalla tappa notturna. Dormiamo nuovamente ad Ambalavao, hotel basic gestito da cinesi, discreto, pulito, economico. Cena e sigaretta sul tetto come qualche giorno fa e poi a dormire. Anche perché qui dalle 18.30 c’è il buio più totale e assolutamente nulla da fare. Ma proprio nulla.
29 agosto
Siamo andati a dormire talmente presto ieri sera che alle 5.30 siamo già svegli e prima delle 7 neanche il gestore cinese ci vuole dare la colazione. Restiamo ad osservare la vita che lentamente si risveglia nel piccolo paesino e poi, dopo la colazione, riprendiamo la strada verso Fianarantsoa: vogliamo arrivare per tempo per prenotare uno dei pochissimi treni presenti in Madagascar che porta verso la costa est. Dicono un viaggio lungo una intera giornata ma bellissimo per i luoghi attraversati. Entriamo nel delirio di Fianarantsoa, cittadina di dimensioni già discrete e andiamo alla stazione. Dopo qualche indagine scopriamo purtroppo che il treno si è scassato nel bel mezzo del nulla e non sanno dirci quanti giorni ci metterà ad arrivare e a ripartire. Ci tocca accettare la situazione e decidere di cambiare piano, non senza una certa tristezza perché questo tragitto sul treno lo sognavamo già da casa. Ma il viaggio è così, arrendersi agli eventi è l’unica strategia. E se lo fai avrai sempre una sorpresa. Infatti. Troviamo un hotel per la notte e cerchiamo di inventarci il pomeriggio. Andry ci ha parlato di un amico italiano che vive qui da circa 15 anni e ha aperto una casa famiglia per bambini di strada e ci chiede se vogliamo conoscerlo. Certo che sì…. ed eccoci approdare alla Casa Famiglia Omeobonbon. Arriviamo verso le due del pomeriggio pensando di restare per qualche ora e, tra giochi, chiacchiere, risate, cena tutti insieme e abbracci finali lasciamo la casa quasi a mezzanotte. Tony e i suoi 20 bambini dai 3 ai 15 anni, i cani randagi raccolti che fanno la guardia alla casa, i balletti improvvisati, la musica, il film guardato tutti insieme con un videolettore scassato che distorce l’audio, le lacrime e i sorrisi… una esperienza indimenticabile che le parole non riescono a raccontare fino in fondo. VI rimandiamo alle foto qui, al video qui e al sito dell’associazione www.omeobonbon.it qui. Noi abbiamo instaurato un contatto diretto con loro e sta già partendo un primo pacco per la casa famiglia (che oltre ad un po’ di zaini di scuola e maglie varie contiene anche un nuovo lettore DVD…). Se qualcuno vuole aiutare contatti direttamente la Casa Famiglia o ci scriva, saremo ben felici di fare da tramite.
Che giornata meravigliosa, che bello arrendersi al viaggio.
30 agosto
Oggi ci aspetta una lunga giornata di viaggio per raggiungere Antsirabe, scelta obbligata per la notte visto che oltre non possiamo proseguire (sarebbero troppi chilometri sulle strade accidentate del Madagascar). Non ci dispiace perché Antsirabe è una bella cittadina, la terza più grande dell’intero Madagascar, fredda (siamo a 1500 metri), comunque accogliente. Troviamo alloggio nel solito albergo scassato ma pulito (oddio, questo forse questa volta solo in apparenza perché nei giorni successivi ci ritroveremo qua e là morsichini di pulci sparse per il corpo…). Facciamo una passeggiata preserale e poi mangiamo sempre insieme ad Andry in un piccolo locale sulla via principale. Un po’ turistico ma non troppo e con una buona selezione di rum locali che assaggiamo per dovere di cronaca, si intende… rum allo zenzero, rum al pepe, rum…. e basta…. è ora di posare le membra tra le coltri. Le pulci aspettano vogliose!
31 agosto
I piani per oggi non sono definiti con certezza, decidiamo di arrivare fino a Miandrivazo per capire se e come è possibile buttarci nell’avventura della discesa del fiume Tsiribihina in piroga. Chilometri e chilometri tra paesaggi mozzafiato e poi, dopo un lungo e terribile ultimo tratto di strada “asfaltata” che pare bombardato dagli alieni arriviamo verso l’ora di pranzo a Miandrivazo. Appena fermi in centro paese veniamo subìto abbordati da guida locale in bicicletta che ci fa la sua offerta per la discesa del fiume. Dopo una consultazione con Andry e la sua mediazione sul prezzo, decidiamo per il sì. Incredibile, avevamo deciso sulla carta per il no… andiamo solo a vedere che cosa potrebbe essere, troppo caro… difficile….forse non c’è il tempo…. e invece….. eccoci qui a contrattare attrezzatura, cibarie, piroga, guida per i nostri prossimi quattro giorni. W l’improvvisazione! Seduti ad un ristorante sulla strada, avvolti da un caldo surreale (il clima è improvvisamente cambiato rispetto ad Antsirabe) facciamo un discreto casino per pagare l’acconto sul viaggio: abbiamo pochi contanti in Ari Ari (moneta locale) e qui non ci sono banche e/o bancomat. Ci accordiamo comunque per un anticipo e poi un saldo. Dopo il pranzo-contrattazione troviamo un posto per dormire la notte, facciamo un bucato totale approfittando del clima caldo (maglie, calze, mutande aspettavano questo momento da giorni) e pisoliamo in attesa dell’appuntamento con la nostra guida che ci accompagna a fare i documenti necessari per la partenza: bisogna registrarsi alla polizia, fare le autorizzazioni e i permessi. Tra parentesi, l’ufficio pubblico del comune dove facciamo i permessi è uno spettacolo; se solo un po’ di persone occidentali ci passassero qualche ora come noi la finirebbero di lamentarsi! Tutto a posto, non ci resta che tornare in albergo, aspettare l’ora di cena, cenare e prepararsi psicologicamente per domani. Per la nostra quattro giorni sul fiume, nel nulla, a dormire in tenda tra la natura selvaggia di questa magnifica immensa isola africana sperduta nell’Oceano indiano…
1 settembre
Allora, si parte. Sveglia, manco a dirlo, all’alba. Facciamo uno zaino di due, con le cose che ci serviranno sul fiume e affidiamo ad Andry il resto. Lui ci verrà a riprendere alla fine della discesa tra quattro giorni. A piedi arriviamo fino sulla riva del fiume dove un mondo brulicante di persone vive, lavora, transita. Conosciamo i nostri due compagni di viaggio per i prossimi giorni: Moussa (28 anni e due figli) e Evariste (18 anni e una logorrea esplosiva e irrefrenabile che ci accompagnerà per tutta la discesa). Carichiamo sulla lunga piroga di legno le provviste, la tenda, le pentole, il nostro zaino e partiamo per questa magnifica avventura. Dopo neppure mezz’ora di pagaiate accostiamo perché la nostra piroga imbarca una preoccupante quantità di acqua. Incredibilmente, come sempre avviene in questi posti che sembrano lontani da ogni soluzione, la soluzione arriva. Sulla riva un gruppo di pescatori e Moussa, che li conosce, si accorda per uno scambio di piroghe. Trasbordiamo tutto sulla nuova imbarcazione e ripartiamo sicuri. I primi chilometri di fiume ci regalano immediatamente la magia del silenzio, del rumore del fiume, della natura incontaminata e selvaggia che ci circonda e… di Evariste che non smette un secondo, uno, di parlare…Moussa, Moussa, Moussa……lui dietro, Moussa davanti, noi nel mezzo. Il primo istinto è quello di buttarlo a fiume poi… poi passano le ore e tutto diventa diverso.
Siamo solo noi quattro, con il rumore dell’acqua, nel nulla…. intorno a noi solo natura, sole, foresta… un sogno ad occhi aperti. Restiamo muti. Noi. Non Evariste. All’ora di pranzo attracchiamo lungo il fiume e i ragazzi con una pentola annerita e un fuoco improvvisato ci preparano un ottimo pranzo all’ombra di piante frondose, poi riprendiamo la via dell’acqua e pagaiamo fino al tramonto approdando su una lingua sabbiosa. Ad attenderci due capanne di locali che improvvisano un “ben arrivato” acustico (con chitarra scassata e finto microfono di bambù). Montiamo la tenda per la notte, compriamo due birre (questo era lo scopo del ben arrivato locale) e ceniamo sotto le stelle illuminati dalle candele infilate nelle bottiglie di plastica su un fondo di sabbia per proteggere la fiamma dal vento. Di fronte a noi, sull’altra riva del fiume, la collina brucia di fiamme – involontarie? – illuminando la notte. Ci sembra di essere approdati nel Pleistocene.
2 settembre
Ci svegliamo al mattino madidi dell’umidità della notte. Molto presto, per approfittare della ancora lieve oscurità e poter fare i bisogni dietro alla tenda (qui mica c’è un bagno…). Il bagno non c’è ma in compenso intorno alla tenda c’è un maiale che grufola, alcuni cani, delle galline e, appena approntiamo la colazione, tutti i bambini delle due capanne vicine. Dividiamo. Poi smontiamo il tutto, ricarichiamo sulla piroga e ripartiamo verso la foce. La discesa sul fiume Tsiribina è una esperienza veramente unica. Praticamente nessuna strada accede al fiume per cui il corso d’acqua resta l’unica via di comunicazione. A causa di questo sul silenzioso fiume si incontrano molte piroghe di locali che si spostano, commerciano, vivono, così. Famiglie con bambini, piroghe cariche di legno o di carbone, di viveri, di acqua. Evariste è incontenibile: parla, canta, improvvisa. Lo soprannominiamo Radio Evariste point point quatre—(Radio Evariste … 4.). La cosa gli piace assai per cui da qui in poi avremo la nostra personalissima e fantastica radio locale…..con tanto di annunci, canzonette, versi e disturbi onde medie…..muhha….questo lo capiamo solo noi scritto così ma se avrete la pazienza e la voglia di vedervi il nostro video potrete capire e partecipare anche voi (Video Tsiribihina 1 – Video Tsiribihina 2). Verso l’ora di pranzo attracchiamo in un punto imprecisato sulla riva, ci arrampichiamo e, sotto ad un albero di papaya, mangiamo a quattro palmenti il fantastico cibo che Moussa ed Evariste riescono a preparare in un baleno. Pausa finita e ripartiamo.
E scick e sciack, pagaiata dopo pagaiata, proseguiamo la nostra fantastica discesa del fiume tra una offerta rituale di rum alle acque all’incrocio di due rami d’acqua ai piccoli villaggi che si intravedono tra la foresta, i voli di decine di diverse e sconosciute specie di uccelli e gli occhi timidi di coccodrilli che si inabissano al nostro passaggio, tra istantanee di lemuri che saltano tra i rami della vegetazione fitta che ricopre le sponde e i suoni dei villaggi nascosti al nostro sguardo proprio là, solo a pochi metri da noi, dove il nostro sguardo non riesce ad arrivare. Incrociamo, sulla via d’acqua, donne che sulla sponda fanno il bucato, bambini che giocano nell’acqua, mandrie di zebù che si abbeverano, contadini che curano i loro piccoli campi di riso e di tabacco.
Il silenzio pieno di rumori della natura ci avvolge, la luce a tratti ci acceca, a tratti l’ombra ci avvolge. Il fiume si snoda in curve tortuose che ad ogni svolta regalano lidi di sabbia o montagne fitte di verde, rocce a strapiombo o larghe anse. Una pace, una gioia… una discreta fatica. Verso sera si alza un vento forte e il fiume si increspa di mille piccole onde. Dobbiamo attraccare. Troviamo il nostro approdo, montiamo la tenda, accendiamo il fuoco e, aspettando la cena, ci inoltriamo nel deserto di sabbia e sterpi per cercare un angolo minimamente adatto ad evacuare. Poi ci rendiamo conto che in uno spazio aperto come questo ci possono vedere solo le stelle… La cena è ricca come le precedenti e passiamo un po’ di tempo tra il buio e la luce delle candele per giocare un po’ a surreali indovinelli che Moussa ci propone…. giochi da bambini, inventati con legnetti e disegni sulla sabbia… poi si fa ora di andare a dormire. Nella piccola tenda piantata nel nulla, sulla riva di un fiume del Madagascar, frustati da un vento implacabile, con l’umidità di una palude. Buonanotte. This is a wonderful world!
3 settembre
Il risveglio del mattino è straniante. Una nebbia fittissima, bianca e lattiginosa, avvolge ogni cosa, noi compresi. Praticamente non si riesce a vedere a distanza di un metro. Ci asciughiamo come possiamo e insieme a Moussa ed Evariste accendiamo il fuoco per farci un bel caffè caldo. Con le tazze bollenti e fumanti tra le mani aspettiamo pazienti che la nebbia si alzi. Nel frattempo smontiamo l’accampamento, la tenda, spegniamo il fuoco e carichiamo il tutto sulla piroga. Passata poco più di un’ora la visibilità è migliorata ma ancora non si vede la sponda opposta del fiume. Partiamo comunque altrimenti rischiamo di fare troppo tardi. Ancora per circa un’ora pagaiamo in mezzo al bianco nulla, in un silenzio ovattato e straniante. Poi, lentamente, cominciamo ad intravedere gli alberi sulla riva, qualche altra piroga che naviga lenta come noi e poi, finalmente, il sole fa capolino e squarcia in un attimo la nebbia. Il fiume si allarga in grandi anse per poi stringersi all’improvviso in gole strette circondate da pareti a picco di roccia sulle quali nidificano gli uccelli. Attracchiamo in una spiaggetta isolata per scomparire nel bush e fare la pipì, ascoltiamo inesorabilmente radio Evariste point.point.quatre, ridiamo a crepapelle, restiamo in silenzio ad ascoltare la natura. Accostiamo alla riva in un punto dove, oltre alla fitta foresta, c’è solo una piccola capanna, un campo coltivato, qualche zebù e un ragazzino di massimo 12 anni che vende sacchi di carbone. Moussa deve rifornire il vascello. Si riparte e dopo qualche ora facciamo tappa sempre nel bel mezzo del nulla per visitare una cascata con relativa piscina naturale. Scendiamo e ci arrampichiamo tra le radici degli alberi per fare un bagno meraviglioso nella fresca acqua sorgiva tra le rocce. Siamo solo noi due. Inutile sottolineare che ne approfittiamo anche per lavarci…
Ancora un po’ di fiume e poi altra tappa in un villaggio perché Moussa ha finito le sigarette. Sbarchiamo e veniamo festosamente assaliti da decine di persone, donne, bambini, uomini, che ci stringono la mano e ci scortano curiosi per le vie fangose tra le capanne. In realtà veniamo scortati soprattutto da un vecchio signore senza denti un po’ svirgolato che dice cose strane (anche per Moussa) che, per motivi troppo lunghi da spiegare, verrà da noi quattro da qui in poi soprannominato Chevrolet…. compiuta la missione riprendiamo la via d’acqua e arriviamo alla pausa spiaggia-pranzo. Altro fuoco, altre cibarie prelibate cucinate con poco e nel nulla. Giunge l’ora di lasciare la barca e il fiume e, in un altro piccolo villaggio, Moussa concorda l’affitto di un carretto di legno trainato da due zebù e partiamo per le circa due ore più sobbalzanti a nostra memoria di viaggiatori. Sballonzoliamo sul carretto lanciato per sentieri di fango, guadiamo un fiume, ci arrampichiamo sulla sabbia e poi, finalmente, arriviamo al bellissimo villaggio dei baobab: Antsiraraka. Ci piazziamo nel piccolo hostal (stanze senza acqua e con poca luce, solo alla sera), guardiamo una polverosissima e scassata partita di calcio nel campo di fronte a noi, beviamo qualche birra, chiacchieriamo con Moussa e i suoi conoscenti, ceniamo e poi non resta che andare a dormire. Cercando di non pensare all’enorme scarafaggio aggrappato al muro proprio sopra le nostre teste. Provo ad accendere e spegnere la pila più volte per vedere se si muove. Si muove. Sta giocando a 1 2 3…stella. Sigilliamo la zanzariera meglio che possiamo e speriamo di non avere bisogno del bagno durante la notte.
4 settembre
La giornata di trasferimento oggi sarà decisamente sfiancante ma ancora non lo sappiamo. Sveglia, colazione, zaino fatto e ci aspetta il primo taxi brousse. Cosa è un taxi brousse? Un micro pulmino da 12 posti che generalmente contiene 40 persone. Con noi fanno 42. Mi siedo praticamente sulle palle di Sig (proprio palle intendo, non spalle) che ha messo una gamba sul finestrino e l’altra praticamente sul pedale dell’acceleratore dell’autista. Io mi sistemo nella posizione della gru sciancata con lo stomaco incollato al cruscotto, mi tolgo persino le scarpe perché mi pare di occupare così meno spazio e partiamo. E noi siamo i fortunati che stanno nei posti davanti. Dietro di noi le altre 40 persone sono accatastate a strati. E si parte. Per una strada sterrata di buche e fossi e altri mezzi che sfrecciano nella direzione opposta. In mezzo ad un bosco di nulla. Per circa tre ore. Arriviamo ad un porticciolo fluviale brulicante di centinaia di persone e mezzi, rotoliamo giù dal taxi brousse e… aspettiamo il successivo per la seconda tratta! Questo secondo è un mezzo con i classici tre posti davanti e il dietro fatto a cassone coperto da un telo. Qui saliamo forse in 45… tutto come prima, diverse posizioni plastiche ma con in più la polvere in faccia e i rami bassi che se non stai attento ti frustano severamente lungo il tragitto. Siamo nel cassone. Eppure, nonostante questo, con noi viaggiano donne con bimbi piccoli, signori anziani, giovani ragazzi. E tutti chiacchierano, mangiano, ridono e sorridono. Beh, non proprio tutti ma quasi. Che differenza con un nostro bus qualsiasi nell’ora di punta…
Arriviamo in un punto imprecisato della pista e ci fanno scendere. Ok, pensiamo, qui ci vogliono abbandonare per lasciarci morire di stenti, almeno smetteremo di soffrire. Invece il punto è imprecisato per noi ma non per Moussa e Andry che ci aspetta sotto un albero con la sua fidata e, a questo punto a noi pare, lussuosissima BMW degli anni ’80. W Andry! Il nostro caro amico e compagno di viaggio ci ha pure portato delle bottiglie di acqua fresca. Che gioia. Dobbiamo raggiungere la cittàdina di Morondava, sulla costa ovest e lungo il tragitto facciamo ancora tappa per ammirare il Baobab des amoureux (due baobab immensi intrecciati come due amanti) e ci fermiamo naturalmente lungo l’Avenue du Baobab, una spettacolare infilata a perdita d’occhio di questi giganti della natura. Foto. Arriviamo finalmente a Morondava, prendiamo alloggio in un hotel con bungalow sulla spiaggia e ci godiamo un po’ di meritato riposo. Troviamo comunque il tempo per contrattare attraverso il gestore del posto il passaggio del giorno successivo per una due giorni a Belo sur Mer, un piccolo paese sulla costa più a sud, raggiungibile solamente con un 4×4. Concludiamo la giornata mangiando tutti insieme, con Andry e Moussa, da Jean le Rasta, un piccolo locale nascosto tra le piante. A lume di candela. Finendo con il rum. Come si addice al vero status di gaudenti impenitenti. Anche in condizioni avverse. Prendere sonno questa sera non sarà certo un problema.
5 settembre
La truppa del mattino pronta a partire per la nuova avventura comprende, oltre a noi due, naturalmente il driver del 4×4, la signora proprietaria del bungalow dove andremo a dormire a Belo che ha barattato con noi il passaggio gratuito con un alloggio gratis per la notte anche ad Andry che, invece che aspettarci per due giorni a Morondava ha deciso di venire con noi. Non ha mai visto Belo e questa per lui è una occasione unica. La nostra guida diventa per due giorni a tutti gli effetti il nostro terzo compagno di viaggio. Qualche pausa tecnica in paese (bancomat, acqua) e poi si parte. Ci aspettano quattro ore e più su una pista in mezzo al nulla per raggiungere Belo sur Mer. Dopo pochi chilometri naturalmente buchiamo per cui facciamo la prima sosta extra. Le soste si moltiplicano anche perché lungo l’accidentato tragitto ci sono da guadare alcuni fiumi e nei tratti di strada più accidentati le persone dei piccoli villaggi si sono inventate sbarre di sosta con pedaggio e altre amenità. Ma come criticarli. Qui non c’è nulla e qualcosa bisognava pur inventarsela. il paesaggio che ci circonda è bellissimo, passiamo dal fitto della vegetazione alle radure secche e fangose per arrivare ad una zona di saline veramente lunare che ci crea non pochi problemi al passaggio: il fondo è scivoloso come sapone e le poche tracce di pneumatici hanno lasciato solchi profondi nei quali si rischia di impantanarsi ad ogni metro. Lasciate fortunosamente le saline affrontiamo un tratto di pista su sabbia e dopo ben oltre quattro ore emerge dal nulla la costa e il piccolo e suggestivo villaggio di Belo sur Mer.
Capanne e bungalow di legno e palma su fondo sabbioso. Davanti a noi un mare cristallino e selvaggio. Ci sistemiamo e dedichiamo il pomeriggio ad una lunga camminata lungo la costa in riva al mare. La particolarità di Belo è che questo villaggio è da sempre luogo di costruzione a mano di piccole e medie imbarcazioni per la pesca e il trasporto merci. Per chilometri la spiaggia è costellata di piccoli cantieri navali, di carcasse di legno di barche ancora in embrione e di belle barche colorate che aspettano il varo. Il sole del tramonto pennella il tutto di rosa e di arancio. Ceniamo ai bungalow con una famiglia italiana molto simpatica (padre madre e due figlie). Siamo solo noi, e sulla riva del mare, alla luce della luna e delle candele ci divertiamo a condividere avventure e disavventure di viaggio. La notte pare meravigliosa ma purtroppo nelle capanne proprio accanto a noi è la notte di una festa funebre (che qui si chiama Famadihana – il “rovesciamento delle ossa”), dura 48 ore ininterrotte di musica, percussioni, cibo e alcool. Non protestiamo per non infrangere un fadi (che qui significa gesto proibito, ce ne sono molti come ad esempio indicare una sepoltura con il dito). Bestemmiamo in silenzio restando svegli praticamente tutta la notte. A modo nostro onoriamo il defunto.
6 settembre
Passata ‘a nuttata quasi ringraziamo di avere la sveglia alle cinque del mattino. Tanto dormire non si può. Per questa mattina abbiamo organizzato un giro con le pirogue a voile (piroghe in legno a doppio bilancere e a vela) per fare una traversata fino a delle piccole isole disabitate a qualche chilometro dalla costa che dicono magnifiche per fondali e barriera corallina. Partiamo impavidi accompagnati da due ragazzi di Belo che governano la piroga. Alziamo le vele e… si va…. beh, più o meno. Quando arriviamo al largo e ci approssimiamo alla barriera di fronte a Belo per cercare il varco tra le rocce il mare si fa grosso, il vento è molto forte e dondoliamo come un fuscello abbandonato ai flutti. Per fortuna i due giovani ragazzi sono esperti e, anche a rischio di scontentarci, ci dicono che dobbiamo rinunciare. Bene. Cioè, peccato ma non è il caso di essere stupidi… decidiamo insieme a loro per un percorso alternativo e navigando sottocosta raggiungiamo un istmo di sabbia deserto che per un lungo tratto, a causa delle imponenti maree di questa zona di costa, è asciutto, percorribile a piedi e popolato di mangrovie e radici affioranti dalla sabbia, Facciamo una lunga passeggiata solitaria lungo il mare immersi in un paesaggio minimale e splendido. Ci fermiamo in un punto qualsiasi per fare un bagno, ci asciughiamo e poi torniamo sui nostri passi, prima, e sulle nostre onde poi per ritornare alla base. Dopo una piccola pausa di riposo salutiamo, carichiamo i bagagli e ripartiamo. Andry, il driver del 4×4 e noi, per ritornare a Morondava. Ci aspettano le nostre belle quattro ore e più di pista sabbiosa, saltellosa e fangosa (a seconda dei tratti). Stanchi, impolverati e felici riapprodiamo al bungalow-hotel di due giorni fa, alla sera ci spingiamo a piedi per la città buia per cenare con Andry in un piccolo posto locale veramente basic e poi ci ritiriamo nei nostri appartamenti. Saranno le otto di sera. Le galline sono ancora in discoteca….
7 settembre
Le galline sono tornate tardi ma noi, vista la precoce ritirata, siamo in piedi prima delle signore che servono la colazione. Riusciamo a vedere l’alba (bellissima, sul mare del Canale di Mozambico), a preparare i bagagli e a svegliare gli addetti alla colazione. Che finalmente ci portano un caffè. Noi siamo già alla quinta sigaretta. Oggi ci aspetta una lunga nuova giornata di trasferimento. La meta prossima è la costa verso il nord di Tana ma per oggi, viste le condizioni delle strade, dovremo accontentarci di arrivare nuovamente fino ad Antsirabe e lì pernottare. Senza un fuoristrada a disposizione il Madagascar ha veramente poche strade percorribili per cui capita spesso di passare e ripassare dai medesimi posti. Partiamo, gli intrepidi tre, e maciniamo chilometri e chilometri. Il nostro primo obbiettivo è Miandrivazo, la cittadina dalla quale siamo partiti per la discesa sul fiume Tsiribina. Il fatto è che ci siamo scordati di restituire alle nostre guide (Moussa & c.) il loro documento di identità che ci avevano affidato come garanzia del buon operato. Noi e loro ce ne siamo scordati…. poi hanno telefonato ad Andry preoccupatissimi e allora, ca va sans dire, la tappa è d’obbligo! Arriviamo giusto all’ora di pranzo, dovendo purtroppo ripercorrere quegli ultimi maledetti chilometri che collegano la strada principale a Miandrivazo. Salti, buche, fosse… mancano solo i coccodrilli, anzi no, quelli sono nel fiume. Ci incontriamo con il fratello di Moussa (lui è già ripartito per un’altra discesa del fiume) restituiamo il maltolto e ripartiamo. Dopo ore e ore e ore arriviamo di nuovo nella fredda Antsirabe: oggi siamo passati dal caldo della costa al forno umido di Miandrivazo al freddo di Antsirabe. Ma come dicevano le nostre nonne, quello che non ammazza ingrassa! Ci piazziamo nello stesso “albergo” della prima volta ma in una camera diversa. Per fortuna questa più nuova e sprovvista di pulci. Verso sera usciamo con Andry e, dopo aver comprato per 12 euro un telefono + scheda locale (che ci consente di comunicare con l’Italia a meno della metà del costo rispetto ai nostri telefoni) ceniamo nello stesso posto di qualche giorno fa finendo nuovamente con l’assaggio dei rum speziati artigianali locali. Good night and good luck!
8 settembre
Svegli come grilli alla solita ora antelucana aspettiamo che pure Andry si svegli, si faccia la doccia e poi ci rifocilliamo in un piccolo locale con una lauta colazione. Poi come sempre si riparte. La nostra meta di oggi è Andasibe, un piccolo villaggio circondato dalla foresta che è diventato tappa obbligata per la sua particolarità: avere uno dei pochissimi parchi in Madagascar che ospita una delle specie di lemuri più incredibili che esistano, gli Indri Indri. Gli Indri Indri sono i lemuri più grossi tra le decine e decine di specie conosciute e soprattutto hanno la particolarità di una voce che assomiglia al canto dei cetacei. Vivono in gruppo nel folto della foresta e, dopo discutibili prove zoologiche, non sopravvivono in cattività. Sono le pelose sirene libere del Madagascar. Non possiamo mancare questa tappa. L’arrivo ad Andasibe ci lascia di stucco. Il piccolo villaggio è tutto costruito completamente in legno con uno stile che a noi (cresciuti a botte di tv) può ricordare quello di un paesino del Far West. Le strade sono di fango, dai balconi di legno delle case si affacciano donne e bambini curiosi, la via centrale è un brulicare di piccole botteghe, hotely (i minuscoli ristori a conduzione familiare). Per la strada persone, bimbi scalzi che giocano tra le pozzanghere, galline, papere, cani, ancora fango. Intorno la foresta. E le grida magnifiche degli Indri Indri. Incredibile. Con Andry contrattiamo costo e menu per una cena in uno degli hotely, ci ritiriamo per qualche ora a riposare e poi si va a mangiare. Il chiosco che ci ospita è una piccola casupola di legno con dentro due tavoli, un tetto bassissimo, un televisore scassato e pieno di disturbi che trasmette orrende soap sudamericane in francese. La proprietaria ci serve su tovaglia cerata usurata una abbondante e deliziosa cena super semplice per un costo di circa due euro a persona. Un gatto urla da sotto le sedie per avere qualcosa dal tavolo e si mangia pure le carote e i fagiolini che ho nel piatto. Mentre consumiamo la cena la padrona-matrona, insieme a tre giovani adolescenti, si gode la soap a tutto volume. Tutto avviene dentro questa piccola scatola di legno grossa poco più di una cabina del telefono. Ma non c’è campo…
9 settembre
Molto presto al mattino (e quando mai?) ci presentiamo all’ingresso del parco per la visita. Ci accordiamo con una delle tante guide e partiamo per il trek che ci impegnerà per qualche ora.
Oltre agli unici Indri Indri il parco di Andasibe ospita moltissime altre specie di lemuri, volatili, insetti incredibili, rettili e una vegetazione multiforme. Cominciamo la lunga camminata per piccoli sentieri fangosi, ci inerpichiamo su per ripide salite e scivoliamo letteralmente giù per altrettanti ripidi sentieri. Riusciamo nelle prime ore a vedere molte specie di lemuri e intorno a noi continua a risuonare il canto degli Indri. Ogni tanto si parte di corsa. all’impazzata, per seguire la traccia sonora di un branco, poi lo si perde e si ricomincia. Ore e ore tra suoni primordiali, buio della foresta intricata, improvvisi squarci di sole, piccoli scrosci di pioggia, fiumiciattoli da attraversare su tronchi instabili. Quando finalmente individuiamo un nutrito branco di Indri cominciamo a seguirlo quasi correndo, senza guardare dove mettiamo i piedi, inciampando molte volte sulle radici affioranti, scaraventandoci giù da ripe scoscese, solo inseguendo un canto. La perseveranza ci premia e finiamo in mezzo al branco che ci osserva curioso e gorgheggiante dai rami, anche ad altezza occhi. Una esperienza veramente indimenticabile. Per far capire, anche solo lontanamente l’emozione vi rimandiamo al video che abbiamo girato con un semplice IPhone in condizioni non proprio agevoli. Ma basta abbandonarsi al suono più che alle immagini… quasi sazi da tanta selvaggia bellezza, sul sentiero del ritorno riusciamo anche a scovare il minuscolo e buffissimo scarabeo giraffa e poi, passo passo, scivolone dopo scivolone, riapprodiamo all’ingresso del parco. Infangati come due meringhe marron. Saliamo in macchina e immediatamente partiamo per la meta serale: Tamatave. Facile a dirsi, difficile a farsi.
La strada che ci separa da Tamatave è una interminabile serie di curve e tornanti che sale e scende dalle montagne, invasa da un incredibile traffico di camion e tir con rimorchio. Qui non ci sono autostrade e men che meno ferrovie decenti per il grande trasporto, per cui dal grande porto di Tamatave merci e carburanti passano su strada, su questa strada… Il paesaggio intorno a noi è magnifico: si passa da montagne rocciose a foreste, da colline ricoperte di palme (qui un particolare tipo di palma detta l’albero del viaggiatore, simbolo del Madagascar) a valli a perdita d’occhio. Bisogna solo stare attenti ai passaggi in curva… Arrivati finalmente, e dopo molte ore, nei pressi di Tamatave rientriamo improvvisamente in contatto con la realtà metropolitana….la città è caotica, immensa e moderna rispetto alle realtà che abbiamo lasciato da poco alle nostre spalle. La ricerca di un hotel per la notte si fa complicata ma alla fine troviamo una stanza in uno dei soliti, anonimi e discretamente squallidi, hotel gestiti da cinesi. Va bene. Ci diamo appuntamento con Andry per la cena e, purtroppo, senza volere finiamo in un posto “infimo e turistico” pieno di mafia locale, occidentali sbandati e prostitute. Noi eravamo andati lì solo perché pareva avessero la possibilità di un Wi-Fi e avevamo bisogno di comunicare con casa. Mangiamo qualcosa nonostante tutto, purtroppo assistiamo a scene da diluvio universale (sul marciapiede di fronte a noi una donna ubriaca che probabilmente vende se stessa per campare litiga col suo pappa locale mentre suo figlio, un piccolino di massimo tre anni, la insegue piangendo…. sempre mentre ai tavolini intorno a noi schifosi occidentali contrattano..). Ce ne andiamo sconvolti e disgustati. Il mondo è un calderone infernale certe volte…
10 settembre
La meta dei prossimi giorni è l’isola di St Marie sulla costa nord est, nell’Oceano Indiano. Proprio in questa stagione le megattere transitano lungo le sue coste per partorire, allevare i cuccioli e ripartire verso i mari gelati del nord del mondo. Dobbiamo assolutamente provare ad incontrarle. Pare facile. Il modo più economico per raggiungere l’isola di St. Marie è raggiungere il piccolo porto di Sonehariane a nord di Tamatave e da lì prendere uno dei tanti piccoli e pare pericolosi traghetti che attraversano il difficile stretto (difficile per venti e secche) che separa la terraferma dall’isola. Per fare una mediazione tra portafoglio e poco tempo che ci resta a disposizione decidiamo di comprare i biglietti aerei da St. Marie a Tamatave per dopodomani, prenotare pure le notti a St. Marie e sperare di raggiungere all’andata l’isola via mare. Azzardo. Partiamo impavidi da Tamatave. Alla nostra piccola truppa si è aggiunto nel frattempo il nipote undicenne di Andry perché qui a Tamatave vive sua sorella e il bambino, visto che la scuola è ancora chiusa, si regala una due giorni di viaggio.
Anche se tra Tamatave e Sonehariane i chilometri non sono così tanti sulla carta, prevediamo una tappa notturna nel piccolo villaggio costiero di Mahambo. La strada che corre lungo il mare e attraversa innumerevoli estuari di fiumi è talmente accidentata che la nostra velocità media non supera i 20 chilometri all’ora. Arriviamo a Mahambo, troviamo da dormire in un semplice ma bellissimo gruppo di bungalow sulla spiaggia e poi passiamo pranzo, pomeriggio e sera tra cibo, birrette, sigarette, riposino, fotografie e cena notturna quasi al buio preparata direttamente dai pescatori locali a base di riso, verdure, pesce fresco (non per me, incallita vegetariana) e stelle luccicanti nel cielo blu pece. Domani ci aspetta l’ultimo tratto di strada verso il porto per St. Marie. Speriamo.
11 settembre
Partiamo talmente presto al mattino che neppure i gestori sono scesi dal letto per darci una colazione. Ci risiamo. Pazienza. Ci penseremo poi. La strada che ci separa dal porto di Sonehariane, sempre a causa delle voragini carsiche dell’asfalto, sarà lunga. Meglio macinare subito un po’ di chilometri. E viaggia e viaggia, e evita buca e evita buca, e sobbalza e sobbalza, alla fine arriviamo a Sonehariane. Il piccolo, direi minuscolo, porto è in subbuglio. Vento forte, mare agitato e un incidente ad uno dei traghetti che solo pochi giorni fa ha ucciso un ministro del governo insieme a molte altre persone impediscono a tutte le barche di salpare. Le notizie qui girano lente per cui in un’ora al massimo arrivano comunque camion, taxi brousse, jeep di turisti ignari del divieto e tutti, come noi, si incastrano in un limbo di attesa e di manovre azzardate per parcheggiare. Ci sediamo in un piccolo caffè e finalmente facciamo colazione cercando di rubare qua e là informazioni. Si parte. Forse sì… no anzi no… forse tra un’ora… no domani… no nemmeno domani…. inutile attendere ancora. Tra poco sarà troppo tardi anche per tornare sui nostri passi vista la strada che ci attende. Bisogna decidere, anche al buio. Decidiamo di ritornare a Tamatave e provare, estrema chance, a vedere se c’è ancora posto su uno dei piccoli aerei che porta a St. Marie anche per l’andata. Costa, certo, ma vediamo intanto quanto e vediamo se c’è posto….le megattere mica si possono incontrare tutti i giorni. Giriamo le quattro ruote e ripartiamo verso Tamatave. Lungo, lungo viaggio, accidentato come all’andata. Arrivati comunque in città ci fiondiamo alla ricerca di biglietti aerei anche per l’andata ma nulla….rimaniamo in uno stallo per qualche ora. Nel frattempo riprendiamo alloggio nel solito albergo cinese dell’altro ieri (almeno siamo già di casa e c’è un wi-fi gratuito per il nostro quasi inutile IPhone). Il pomeriggio passa e ci diamo appuntamento con Andry per la cena. Ci viene a prendere (nel frattempo lui qui ha famiglia per cui si fa giustamente un po’ di fatti suoi) e cerchiamo un posto per rifocillarci. Decidiamo, perso per perso, di provare a presentarci all’aeroporto alle cinque del mattino di domani per vedere se saltano fuori dei posti per St. Marie. Per cui si va di nuovo a letto con le galline….opsss… zanzare….
12 settembre
Se le nostre sveglie in viaggio sono di solito all’alba questa è decisamente prima… tipo 4.30… forse ancora prima, non mi ricordo esattamente o forse non voglio ricordare. L’incredibile Andry ci aspetta comunque nel buio della notte all’ora convenuta sotto l’albergo e mentre attraversiamo la città ancora avvolta dalla notte ci comunica che tramite sua sorella che lavora all’aereoporto, forse è riuscito a farci avere ancora due biglietti. Una cosa un po’ all’italiana, o alla malgascia non saprei, ma che accogliamo con giubilo infantile. Arrivati all’aeroporto… beh, tipo aereoporto… troviamo la sorella di Andry che ci fa entrare in uno stanzino e, insieme alla signorina hostess di terra, ci fa sganciare l’importo dei biglietti in contanti e il ticket è nostro… qui carta di credito impossibile, per fortuna che abbiamo ancora del contante sufficiente in moneta locale. Facciamo ancora un po’ di anticamera al gate perché in realtà siamo in lista d’attesa e poi finalmente ci imbarcano! St. Marie, arriviamo! Megattere, siamo in volo! Ecco, sul volo stenderei un velo pietoso… per Sigfrido naturalmente tutto perfetto…io rischio l’infarto almeno sei volte in 50 minuti…… comunque atterriamo e l’isola ci accoglie nel suo semplice splendore. L’isola di St. Marie è una teoria di semplici lingue di sabbia e foresta perse tra il meraviglioso Oceano Indiano e il Canale di Mozambico. Strade di sabbia, case, villaggi e piccoli hotel-bungalow per turisti rispettosi dell’ambiente. Una specie di paradiso. Atterriamo talmente presto al mattino che anche il sole non sa se è l’ora giusta per sorgere. Un taxi scassato ci porta al bungalow prenotato e naturalmente la stanza è ancora occupata. Certo, ci stanno ancora dormendo. Loro. Passiamo da un caffè all’altro fino alle dieci del mattino e finalmente entriamo in possesso della nostra magione. Nel frattempo abbiamo concordato l’uscita in barca per l’avvistamento delle megattere. Niente di sicuro perché qui è il mare padrone delle cose, per cui se il vento non cresce e il mare si calma forse riusciamo già a fare l’uscita questo pomeriggio. Speriamo.
Spera tu che spero io ecco che il sogno si avvera. Partiamo verso l’una e trenta con un motoscafo e altri sei passeggeri oltre ai due membri dell’equipaggio. Siamo capitati bene per cui il tour è organizzato direttamente da una associazione di tutela faunistica che lavora con serietà allo studio e alla protezione delle megattere in quest’area per cui non rischiamo abbordaggi pirateschi e poco rispettosi ai giganti del mare. Nella nostra beata ignoranza pensavamo ad una uscita di massimo due ore ed invece, a posteriori dico per fortuna, restiamo in mare fino alle cinque del pomeriggio tra lunghi tratti sottocosta e infiniti allunghi verso il mare aperto. Infiniti per l’entità delle onde, decisamente oversize per i nostri gusti ma non per la meraviglia che ci regalano. Incontriamo più volte gruppi di megattere (anche otto insieme) che fendono le onde scure spruzzando verso il cielo acqua salina e riempiendo il silenzio dei loro magnifici suoni. Avviciniamo una madre con il piccolo, giochiamo tra le onde a non affondare mentre queste montagne mammifere ci sfrecciano intorno sinuose e massicce insieme. Le onde sferzano e inondano il motoscafo, i contraccolpi spaccano la schiena, siamo fradici come pulcini ma meravigliati e felici come bambini. Lo spettacolo della natura, così selvaggia e indomabile, così vicina e distante al contempo è più inebriante di qualsiasi vino…..
Ci scaricano al quasi tramonto sulla spiaggia come dei sacchetti di nailon usati molte molte volte… per fortuna il nostro hostal ci accoglie con caffè e tè caldo…. approfittiamo e poi, colando acqua salata dalle mutande, ci dirigiamo verso il bungalow per liberarci completamente di tutto ciò che indossiamo, zuppo e del peso specifico di un ippopotamo, ci facciamo una doccia, indossiamo vestiti asciutti (non puliti, a questo punto del viaggio è una chimera) e ci facciamo una birra e poi la cena guardando il tramonto che diventa scuro, guardando lo scuro che diventa notte, guardando la notte che resta notte e alla fine non guardando più un cazzo….
13 settembre
Ecco, la giornata di ieri è stata talmente piena e intensa che non saprei dire a che ora abbiamo toccato il letto. Presto, molto presto. Infatti quando ci alziamo, come d’abitudine oramai, il sole non è ancora sorto o quasi. Non ce l’aspettavamo. Intanto di riuscire ad essere qui nonostante tutte le difficoltà dei giorni alle nostre spalle. Di riuscire a vedere così da vicino e così in gran numero le megattere. Di fare tutto in così poche ore. Non eravamo preparati. Ed ecco che oggi, dopo frenetici e molteplici giorni di tutto, di imprevisti, di fatiche e di sveglie improponibili ci si presenta davanti una giornata di assoluto nulla. Il nostro aereo di ritorno da St. Marie a Tamatave è per domattina. Pensavamo di usare la giornata di oggi per l’uscita in mare in cerca delle balene ed invece, inaspettatamente, tutto è già successo ieri. Che fare? Nulla. Bene. Non siamo preparati. La giornata scorre ad una lentezza estenuante anche se siamo alloggiati in paradiso. Colazione, poi colazione di mezza mattina, poi riposino, poi birra del mezzogiorno, poi nulla, poi caffè, poi birra di metà pomeriggio, poi nulla, poi nulla, poi nulla, poi doccia di mezzo pomeriggio, poi nulla poi….
Per fortuna la vita intorno a noi scorre comunque e ci regala pescatori di conchiglie nell’acqua bassa di marea, mandrie di zebù in transito sulla spiaggia e cani vari ed eventuali, tra il randagio e lo stanziale ai bungalow che tra una carezza, un pisolino, una corsa sulla spiaggia e una scoreggia ci riempiono la giornata. In particolare una mammina in allattamento secca come una acciuga, che da qui in poi chiameremo mammina, un gigante bianco e indolente che abbiamo chiamato Baritono e due o tre micro cani affamati che ci tengono compagnia, sovvenzionati dal nostro desco, per tutto il giorno. Ci scaraventiamo qua e là come dei sacchi di sabbia proteggi argini per tutto il giorno poi, ad ora decente, facciamo una doccia e ci presentiamo in attesa della cena a vedere un bel documentario che proiettano nel bar sui cetacei, tanto per rinfrescarci la memoria viva di ieri. Ceniamo all’imbrunire e poi, com’è come non è, finiamo per fare amicizia con una coppia di ragazzi olandesi, di Utrecht, molto carini e simpatici. Alla mano, amanti dei cani come noi per cui anche loro hanno mangiato solo metà della cena per regalare l’altra metà a Baritono e soci. Finiamo per restare in piedi fino alle due di notte a bere tutto quello che si può bere fino a quando i nostri gestori ci cacciano, sperando in un colpo di sonno. Ah, ah…illusi… invece ci trasferiamo nel bungalow degli amici olandesi, a dieci metri di distanza dal nostro, e diamo fondo a tutto ciò che di alcolico hanno in frigo. Mentre la truppa di cani intorno a noi si moltiplica con soddisfazione (viva e vibrante) perché dal tavolo continuano a cadere pezzi di pane e carne per loro. Saranno le tre quando raggiungiamo sulle ginocchia il nostro letto. La sveglia è alle quattro e mezza, l’aereo mi pare di ricordare alle sei. Non so. Il resto è una nebbia oceanica indiana… una nebbia megattera direi…
14 settembre
La sveglia al mattino (mattino, ma è passata a malapena un’ora e mezza!) è come una punizione divina. Sembriamo due zombie, siamo come del gelatinoso krill da megattera….ecco, se una megattera mi ingurgitasse ora porrebbe fine alle mie sofferenze… o forse mi vomiterebbe…. meno male che è troppo buio per guardarci allo specchio. Non saprei dire come, ma riusciamo a mettere tutti i nostri averi negli zaini e a trascinarci fino alla recepiton per scoprire che non abbiamo sufficiente denaro contante per saldare il conto e che la carta di credito non funziona. Benissimo. Ci accordiamo con la receptionist che ci da un pizzino con scritto l’indirizzo di un negozio di una sua amica a Tana alla stazione dei treni per saldare il mancante. Incredibile. Il taxi ci aspetta, ci carica, ci scarica dopo dieci minuti all’aeroporto. Facciamo le pratiche del caso in trance e aspettiamo di partire. Io sono una specie di fantasma, Sigfrido regge non so come. Ma è bionico? Il volo non riesco a descriverlo. Tra il mal di testa, la nausea e i vuoti d’aria non saprei fare una classifica del disagio. Atterriamo. Grazie. All’aereoporto di Tamatave ci aspetta un Andry arzillo come un furetto (e certo, lui mica ha passato una bella ma devastante serata come la nostra), raccoglie i nostri racconti e soprattutto le nostre spoglie mortali e partiamo verso Tana con tappa obbligata notturna ad Andasibe causa lunghezza e accidentalità del percorso. Dichiariamo immediatamente la mia situazione di sofferenza/devastazione e otteniamo un inaspettato effetto contrario: visto che sto decisamente male Andry pensa di raggiungere il prima possibile la meta finale. Nobile intento peccato che questo comporti guidare stile rally per
tutto il tratto di strada che ci separa da Andasibe. Strada tortuosa con curve e tornanti. Trafficata. Eterna. Non finisce mai. Non vomito. Come mai? Non saprei. Apprezzo l’intenzione, forse…
Arriviamo ad Andasibe non so dire come, forse Sigfrido o Andry lo sanno, e mi schianto nel letto per tutto il pomeriggio. Andasibe, ricordate? Il paesino stile Far West di legno e fango….fa freddo e piove, ideale per svenire completamente vestiti sotto due sacchi a pelo…. infatti lo faccio. Verso le sei di sera riemergo dal nulla e decidiamo di andare a mangiare. Sempre nello stesso hotely di oramai un bel po’ di giorni fa, quello grosso come una scatola, quello delle soap….Piove e il piccolo paese del Far West è un fiume di fango. Andry, per proteggersi dalla pioggia, non avendo un cappello o una giacca a vento, si infila in testa una parrucca acrilica incredibile. Non ci possiamo credere… ma da dove l’ha tirata fuori? Mah…Mangiamo (vari maina… riso bianco… che fa molto ridere Andry per la corrispondenza del nome maina con Maina cognome di Sig…), ridiamo, parliamo, ci trasciniamo nel letto. Pioggia, freddo, stanchezza e Indri che cantano nel buio della foresta attorno a noi.
15 settembre
In una mattina grigia e ancora piovosa ci svegliamo decisamente più vitali rispetto alla giornata di ieri. Facciamo una bella colazione (anche questa volta svegliandoci decisamente prima della nostra stessa guida-driver) e poi riprendiamo la strada per Antananarivo. Oramai siamo arrivati alla fine del viaggio e già siamo pervasi da un misto di tristezza e rassegnazione. Il viaggio, come sempre, come i precedenti, è lungo e accidentato. Un po’ meno di alcuni altri avvicinandoci alla capitale. Arriviamo, volenti o nolenti, a Tana e prendiamo nuovamente alloggio alla Maison du Pyla, la stessa di quasi un mese fa. Salutiamo Andry e ci diamo appuntamento per domattina. Ancora una giornata ci separa dal ritorno definitivo a casa e decidiamo che domani gireremo ancora tutto il girabile.
16 settembre
La notte alla Maison du Pyla è decisamente più confortevole delle tante oramai alle spalle ma ha inevitabilmente il sapore amaro dell’ultima… come sempre colazione e poi, come da piano, Andry ci viene a prendere e dedichiamo le ultime ore a quello che all’arrivo non abbiamo visto di Tana e dintorni. Un giro nel centro, il mercato dell’artigianato, il palazzo della Regina con un surreale tour attorno alle mura circondate da una promenade ricoperta da immondizia, il palazzo del Re, le colline sopra la valle di Tana…. qui i ricordi cominciano a diventare confusi anche perché il pensiero della partenza imminente sovrasta tutto…. tornati alla Maison liberiamo la camera, trasferiamo i nostri miseri zaini alla terrazza sul tetto e trascorriamo le ore che ci separano dalla partenza tra contemplazioni della città, birre, letture e chiacchiere… poi cena e poi Andry. alle dieci di sera, ci viene a prendere. E’ ora. Tragitto notturno verso l’aereoporto, saluti e abbracci commossi, scambio di regali…. via crucis per il check-in… decollo….
17 settembre
Dopo una lunga notte in economy class atterriamo a Parigi, transitiamo verso l’imbarco per Torino, attendiamo il volo, decolliamo, atterriamo….fine del sogno.
ITINERARIO
19 agosto 2011 – Torino – Parigi – Antananarivo – volo Air France
20 agosto 2011 – Antananarivo – giro per la città
21 agosto 2011 – Antananarivo – giro per la città
22 agosto 2011 – da Antananarivo verso Antsirabe – pernottamento ad Ambositra
23 agosto 2011 – da Ambositra a Ranomafana
24 agosto 2001 – Ranomafana – visita al parco – tappa a Fianarantsoa – Ambalavao
25 agosto 2011 – partenza da Ambalavao – tappa Anja Reserve – Ranohira
26 agosto 2011 – Ranohira . trek al Parco de l’Isalo
27 agosto 2011 – da Ranohira a Toliara – Tulear
28 agosto 2011 – da Toliara a Ambalavao – tappa a Ilakaka (miniere di zaffiri).
29 agosto 2011 – da Ambalavao a Fianarantsoa – casa famiglia Omeobonbon
30 agosto 2011 – da Fianarantsoa a Antsirabe
31 agosto 2011 – da Antsirabe a Miandrivazo
1 settembre 2011 – discesa fiume Tsiribina – 1 giorno
2 settembre 2011 – discesa fiume Tsiribina – 2 giorno
3 settembre 2011 – discesa fiume Tsiribina – 3 giorno – arrivo ad Antsiraraka
4 settembre 2011 – da Antsiraraka a Morondava in taxi brousse
5 settembre 2011 – da Morondava a Belo sur Mer in 4×4
6 settembre 2011 – da Belo sur Mer a Morondava in 4×4
7 settembre 2011 – da Morondava ad Antsirabe con tappa a Miandrivazo
8 settembre 2011 – da Antsirabe ad Andasibe
9 settembre 2011 – visita al parco di Andasibe – Indri Indri – partenza e arrivo a Tamatave
10 settembre 2011 – da Tamatave a Mahambo
11 settembre 2011 – da Mahambo a Sonehariane – ritorno a Tamatave
12 settembre 2011 – aereo per Ile Saint Marie – tour megattere
13 settembre 2011 – Ile Saint Marie
14 settembre 2011 – volo da Ile Saint Marie a Tamatave – in auto fino ad Andasibe
15 settembre 2011 – da Andasibe a Antananarivo
16 settembre 2011 – in giro per Antananarivo – partenza in aereo a mezzanotte
17 settembre 2011 – atterraggio a Parigi – volo per Torino
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